Cari amici lettori, qualche tempo fa un mio conoscente mi ha chiesto un aiuto in denaro. Si trovava in ristrettezze e già da tempo – indirettamente e con discrezione – mi aveva fatto capire di aver bisogno di soldi. Ho esitato, un po’ per il sospetto che esagerasse e un po’ perché sentivo una istintiva resistenza a privarmi di qualcosa dalle mie scarse risorse. La richiesta è poi arrivata più esplicita e circostanziata. Allora ho capito che era il momento di tendere le mani. Quando gliel’ho detto, ho percepito il suo sollievo e la sua gratitudine, mentre si affrettava a rassicurarmi della restituzione. Gli ho detto di non preoccuparsi di questo per il momento. In realtà, mi sono accorto che, oltre al bisogno materiale, avevo aperto la porta del cuore alla persona che mi chiedeva aiuto, che mi ha poi confidato i vari problemi legati a quella somma. Questo ci ha messo in una relazione un po’ più vera e profonda. Non di benefattore e “beneficato”, perché anche io ne sono uscito un po’ diverso: forse un po’ più umano; in ogni caso toccato, anzi provocato, dalla fragilità di questa persona. Mi è venuto da ripensare a questo episodio con l’occasione della Giornata mondiale dei poveri, voluta per la prima volta da Francesco nel 2017, e che il 14 novembre giunge al suo quinto appuntamento. Nel messaggio che ha scritto per la Giornata, intitolato I poveri li avete sempre con voi, il Papa insiste su alcune parole-chiave. E una di queste è, appunto, “lasciarsi provocare”: dagli incontri, dalle persone, dai loro volti e le loro storie. L’altra parola-chiave fondamentale è condivisione. L’invito a condividere la vita con i poveri è una sfida che Francesco lancia a tutti noi: «L’elemosina», spiega, «è occasionale; la condivisione invece è duratura». Non si tratta soltanto di compiere qualche gesto di carità, ma «prima di tutto un’attenzione rivolta all’altro considerandolo come un’unica cosa con sé stesso», di una «attenzione d’amore» verso la persona del povero. Ammettiamolo: è un insegnamento difficile da accogliere, scomodo, che può perfino urtarci. Ma questo è sano: così è il Vangelo, se viene preso sul serio. Nel messaggio, poi, il Papa ci ricorda, citando la Scrittura e i Padri della Chiesa, il legame stretto tra poveri, il Vangelo e Gesù stesso. Sono parole che ci pungolano e ci fanno riflettere sulla difficile conversione, sull’«accogliere la sfida della condivisione e della partecipazione». Francesco, insomma, non cessa di “inquietare” la nostra coscienza e di mettere in discussione il nostro modo di guardare agli ultimi. E lo fa non con teorie astratte, ma ricorrendo allo stile del Vangelo, fatto di ascolto e di coinvolgimento in prima persona. Come nelle due storie di questo numero di Credere, quella di copertina (pag. 10) in cui vi raccontiamo di alcuni dei poveri che incontrano papa Francesco venerdì 12 ad Assisi, e della comunità di Francescani che li ospita, e di Martina Locatelli, che lavora per la Caritas ambrosiana (pag. 16). Lasciarsi provocare e condividere: finché certe cose non si sperimentano di persona, “sono solo parole”. Chissà quanti poveri abbiamo accanto di cui nemmeno ci accorgiamo.