Gli hanno sparato mentre si trovava in macchina davanti alla sua chiesa, in una terra sacra, terra dell'alleanza tra Dio e il suo popolo. Un sacerdote cristiano copto è stato ucciso a colpi di arma da fuoco nella provincia egiziana del Sinai. L'uomo, Mina Abud Sharobim, è stato colpito da uomini in moto mentre si trovava in macchina davanti alla sua chiesa a el Massaid, nei pressi di al Arish.
Questa notizia conferma la tensione che regna in Egitto. Otto agenti di polizia sono stati uccisi e 82 feriti nelle violenze in Egitto dal 29 giugno. Lo rende noto l'agenzia Mena. Degli otto, sei, secondo fonti della sicurezza, sono stati uccisi nel Sinai, mentre altri dieci agenti sono stati feriti, nella regione colpita venerdì 5 luglio da una serie di attacchi, che si sono concentrati al el Arish.
L'esercito ha bloccato al Cairo le principali arterie che conducono alla moschea di Rabaa el Adaweya, incluse le strade che portano al ministero della Difesa e alla Guardia repubblicana. Arrestato il numero due dei Fratelli Musulmani ed ex candidato presidenziale Khairat El-Shater. L'accusa è di incitamento alla violenza. El-Shater, ricco imprenditore, si era presentato come candidato lo scorso anno ma era stato bocciato dalla commissione elettorale prima delle elezioni per i suoi precedenti penali, aprendo la strada alla candidatura di Morsi al suo posto.
Gli islamisti hanno fatto appello a mantenere la mobilitazione in Egitto, dove venerdì 5 luglio le violenze hanno fatto almeno 25 morti. «Il partito resterà al fianco dei suoi membri e dei suoi simpatizzanti sulle piazze egiziane fin quando il presidente non sarà riabilitato alle sue funzioni», afferma un comunicato del Partito libertà e giustizia, la forza politica di Mohamed Morsi e legata i Fratelli musulmani.
Nella mattinata di sabato 6 luglio, il presidente ad interim egiziano Adly Mansour ha incontrato questa mattina tre esponenti del movimento dei Ribelli Tamarod. Lo ha reso noto l'agenzia Mena spiegando che all'incontro hanno partecipato il portavoce Mahmoud Badr, Mohamed Abdel Aziz e Hassan Shahin i due fondatori del movimento che ha dato vita alla rivolta contro il presidente deposto Mohamed Morsi.
Della drammatica situazione egiziana si occupa Famiglia Cristiana che sul numero 28, in edicola a partire da giovedì 11 luglio, pubblica un reportage che analizza speranze e timori della comunità cristiana.
Il Cairo
Lo hanno spazzato via. Rimosso dalla presidenza, arrestato e consegnato all’oblio. Il “regno” di Mohammed Morsi, primo presidente civile della storia d’Egitto, è durato solo un anno e quattro giorni. La sua caduta è stata accolta con entusiasmo dalla comunità dei cristiani copti, che rappresenta almeno il 10 per cento della popolazione egiziana. Anche se gli Ikhwan, i Fratelli musulmani di cui Morsi era espressione politica, continuano a far paura. Nella redazione del Watani, il settimanale dei copti ortodossi d’Egitto, l’atmosfera è di moderata soddisfazione: «Siamo contenti», afferma
Samia Sidhom direttrice dell’edizione internazionale del giornale, «ma sappiamo anche che le frange più estremiste della Fratellanza islamica reagiranno, sia contro le opposizioni che contro i cristiani. Ora però, nessun atto eversivo resterà impunito. Perché l’Esercito interverrà».
I primi segnali sono inquietanti.
Lo scorso 3 luglio, pochi minuti dopo l’annuncio del putsch morbido da parte del capo delle Forze armate, Abdel Fattah al-Sisi, gruppi di islamisti avevano già assaltato la chiesa cattolica di San Giorgio, a Delgia, vicino Minya, circa duecento chilometri a sud del Cairo. «Subiremo ancora ritorsioni», dice Victor Salama, uno dei massimi conoscitori della comunità copto-ortodossa, che racconta ogni settimana in una rubrica, sulle colonne del
Watani. «Le violenze ci saranno, pur destinate a calare: non dimentichiamoci che i copti hanno già subito un’escalation di attacchi».
Il principio fu la strage di Alessandria, la notte di Capodanno del 2011, quando un’autobomba parcheggiata davanti alla cattedrale ortodossa di Al Qiddissine (dei Santi), si portò via la vita di 23 persone. Poi, dopo la cacciata di Mubarak e l’iniziale connubio rivoluzionario tra cristiani e musulmani, gli scontri interconfessionali e le discriminazioni non hanno fatto che moltiplicarsi. Spesso per futili motivi. Fino al caso più cruento, il massacro – 25 vittime uccise dalla polizia –- nel quartiere cairota di Masbero, novembre 2011.
Nel quartiere di Downtown, a pochi passi da piazza Tahrir, è ottimista monsignor Gregorio Agostino Cussa, eparca di Alessandria per i cattolici armeni. «Qualche tensione è ancora in atto» afferma, «ma si è aperta una nuova pagina nella storia del Paese, ispirata al dialogo». La parrocchia dell’Assunzione, in Mohamed Sabri Abou Alam Street è un quadrato di tranquillità, attorniato dai clacson e dalla folla festante per la caduta del presidente. «Morsi non era libero sin dall’inizio ha dovuto rispondere ai dettami della sua Confraternita».
«Le frange più estremiste degli Ikhwan non molleranno senza ritorsioni». Eva Botros mostra preoccupazione, ma non perde il sorriso. È una volontaria a tempo pieno nella chiesa evangelica di Kasr el-Dobara. “La cattedrale di piazza Tahrir”, come è ormai nota, dato che sorge alle spalle del luogo simbolo della rivoluzione egiziana.
Il cortile interno della parrocchia si era trasformato in un pronto soccorso, due anni fa, per soccorrere le decine di manifestanti feriti dai cecchini di Mubarak prima e da quelli dell’esercito poi. Da allora il piccolo ospedale di Kasr el-Dobara si è potenziato. Ed Eva, cristiana, ne è divenuta la direttrice. «L’80 per cento dei medici e dei volontari del mio staff è musulmano», spiega, «lavoriamo insieme, preghiamo insieme. E alla notizia della caduta di Morsi, abbiamo gioito insieme. Forse i Fratelli musulmani miravano a dividere questo Paese. In realtà lo hanno unito più di prima».
Gilberto Mastromatteo