Il “faraone” se ne va, ma non subito. Con un discorso alla nazione letto in televisione il presidente egiziano Hosni Mubarak ha annunciato che non si candiderà per la sesta volta alla presidenza nelle elezioni previste il prossimo settembre. Però Mubarak non molla subito il potere e non lascia il Paese. Non farà come il presidente tunisino Ben Ali, costretto a fuggire pressato dalla “rivoluzione dei gelsomini”.
Mubarak ha voluto chiarire che intende morire nel suo Paese. Quindi Mubarak non se ne va e intende gestire direttamente il processo di transizione che dovrebbe portare alle riforme in senso democratico chieste dalla popolazione e dalla comunità internazionale. Ma non è detto che Mubarak riesca nel suo intento. La rabbia dell folla che ha seguito il suo discorso nei grandi schermi allestiti nel centro del Cairo non si è placata. Le decine di migliaia di persone che il 1° febbraio hanno marciato nelle strade della capitale egiziana non si fidano più delle promesse del rais, vogliono che Mubarak se ne vada via subito e non intendono sospendere le manifestazioni di protesta.
Anche il presidente americano Barack Obama non sembra convinto delle promesse di Mubarak e ha dichiarato che il processo di transizione verso la democrazia “deve cominciare ora”. Gli Stati Uniti, che ogni anno finanziano con quasi un miliardo e mezzo di dollari le forze armate egiziane, da giorni stanno facendo pressione sul regime per assicurare una transizione pacifica. La Casa Bianca non può tollerare il caos in un Paese considerato un importante elemento di stabilità nel Medio Oriente. Tuttavia restano molte incognite sui tempi e i modi del cambio di regime.
Nei giorni scorsi Mubarak ha nominato come suo vice il generale Omar Suleiman. L'uomo è capace e rispettato (anche dagli israeliani), ma guida da un ventennio i servizi segreti, ha 74 anni, e non può certo essere considerato un sincero democratico estraneo al sistema di potere creato da Mubarak nei suoi trent'anni di regno. Nel variegato schieramemnto che si oppone a Mubarak (nel quale ci sono gruppi della società civile, i Fratelli musulmani e i giovani internauti del Movimento 6 aprile) non è ancora emerso un vero leader. Si è autoproclamato tale Mohamed El Baradei, il diplomatico già direttore generale dell'Agenzia Onu per l'agenzia atomica. Ma anche per El Baradei il consenso non è unanime e non tutti gli egiziani sono pronti a riconoscerlo come l'uomo del futuro. Per l'Egitto, in ogni caso, non è più il tempo di uomini forti, ma di una vera democrazia.