Essere donna, ma soprattutto madre, ha ispirato Elena Sodano, 53 anni, giornalista professionista, psicologa e terapeuta psicocorporea, nel trovare un nuovo linguaggio emozionale per comunicare con chi soffre di malattie subdole, come l’Alzheimer e altre forme di demenza.
Tutto comincia nel 2002, quando Elena fonda l’associazione Ra.Gi. Onlus (il cui acronimo racchiude le iniziali dei suoi due figli, Rachele e Giuseppe) e qualche anno dopo, precisamente nel 2008, apre a Catanzaro il primo Alzheimer Cafè, un centro diurno dove iniziano a confluire i familiari dei malati per trovare conforto e sostegno. «Ho subito amato ciascuna di quelle persone e ho imparato a guardarle con gli occhi di una mamma, per la quale esiste sempre una soluzione, anche di fronte a pianti e capricci», ricorda la psicologa. «Spesso chi soffre di demenza non riesce più a utilizzare il linguaggio per comunicare, ma ha solamente il corpo a disposizione: così, ho creato il metodo non farmacologico Teci, unico in Italia e di natura espressiva corporea, che utilizza musica, gesti, profumi, sguardi, ascolto, massaggi, tempo, coccole, ninne nanne, sotto forma di laboratori specifici. In qualche modo, il calore umano riaccende nei malati il ricordo della figura materna, quella che sin dal primo giorno ci infonde coraggio e che torna a essere preziosa soprattutto negli ultimi istanti di vita».
Adesso l’obiettivo è estendere l’isola felice di Catanzaro e portare quell’approccio, minuziosamente descritto nel libro Il corpo nella demenza (Maggioli Editore), anche nel resto d’Italia, formando terapeuti capaci di contrastare la tradizionale attenzione verso i malati, solitamente assistenziale ma raramente esistenziale. «Queste malattie derubano dei ricordi più cari, della capacità di mettere insieme le parole, dell’abilità a svolgere le normali attività quotidiane, eppure esiste sempre un modo per riconnettersi con le memorie più antiche, belle, incancellabili. Ogni malato è un essere unico ed è alla sua anima che vogliamo arrivare con il metodo Teci. Un’umana relazione terapeutica. Perché forse è questo l’altro nome dell’amore».