Non tutta la vita della Montalcini, la neuroscienziata Premio Nobel per la medicina nel 1986 di cui oggi ricorre l’anniversario della nascita (22 aprile 1909), ma solo un particolare episodio accaduto negli anni Ottanta è al centro del film tv Rita Levi-Montalcini, in onda domenica 24 aprile su Rai 1. Elena ha 12 anni, fa la violinista e rischia la cecità a causa di una rara patologia della cornea di origine neurologica: la grande scienziata vuole trovare per lei una cura, accettando la sfida rischiosa di rimettersi di nuovo in gioco quasi al termine della sua prestigiosa carriera. A interpretare la scienziata è Elena Sofia Ricci.
Che cosa ha provato a calarsi nel personaggio?
«È stato emozionante, una grande responsabilità. Come si può essere adeguati a interpretare un gigante come lei? Mi sento inadeguata quasi sempre, ed è il bello della sfida di un attore. Occorre fare uno studio, un percorso per avvicinarsi il più possibile all’animo della persona che si interpreta».
Che idea ha della sua figura?
«Io sono sempre stata innamorata della professoressa Montalcini, ben prima di girare il film. Ha raccontato di sé, del suo lavoro, del suo approccio alla vita fino all’ultimo giorno. Diceva: “Non bisogna aggiungere giorni alla vita, ma la vita ai giorni”; “il corpo faccia quello che vuole, io non sono il corpo, io sono la mente”. Sono potuta entrare nella sua casa e mi ha colpito la sua camera. Non ho mai visto niente di così francescano, neppure dei conventi di clausura. Aveva una semplice rete con un materasso in cui dormiva qualche oretta e poi lavorava sempre. Un armadio, il microscopio e tantissimi dischi di musica classica. Ho scoperto che abbiamo gli stessi gusti musicali: Rachmaninov, Mahler. E poi i suoi bigliettini con frasi celebri tra cui spiccava Sapere aude!, abbi il coraggio di conoscere. L’essere umano è imperfetto, deve evolvere, Montalcini considerava la conoscenza un obbligo morale, perché noi uomini non siamo responsabili solo di noi stessi, ma di tutta la nostra specie».
Come si è preparata?
«Ho studiato su un’intervista che rilasciò dopo il Nobel a Maurizio Costanzo. Mi sono sottoposta a lunghe sedute di trucco, sono “invecchiata” di venti anni. Poi ho parlato con la nipote Piera, ci sentiamo spesso. Ogni tanto mi racconta qualche aneddoto di quella che ora, anche per me, è “la zia”».
Le era mai capitato di incontrarla?
«No, come non ho mai conosciuto l’altro grande personaggio che ho interpretato, Francesca Morvillo, la moglie di Giovanni Falcone. Mentre Veronica Lario l’ho incrociata in un albergo e mi fece un cenno di saluto con il capo, molto prima che Paolo Sorrentino mi chiamasse per interpretarla in Loro».
Il film è aderente alla realtà?
«Nella nostra storia, per volere del regista, la bambina che rischia di perdere la vista è anche una violinista talentuosa. Sono cambiati i nomi dei collaboratori, ma i personaggi sono gli stessi, come è vero che a un collaboratore Montalcini regalò un appartamento per averlo più vicino, dato che lui non se lo poteva permettere».
A che punto è il cammino delle donne per affermarsi nelle scienze?
«C’è una bella scena nel film che fa ben sperare. A un certo punto un collaboratore della professoressa Montalcini dice di essere stato l’unico uomo a un congresso di donne. Di strada se n’è fatta tanta, ma non abbastanza, soprattutto sul piano della retribuzione».
Anche sua madre è stata un esempio di forza e tenacia.
«È stata la prima donna scenografa del cinema italiano. In me invecchiata nel film rivedevo lei: anche mia madre aveva un piglio quasi virile, autorevole. Anche lei aveva una morale forte. Per una figlia avere una madre così meravigliosamente ingombrante non è una passeggiata».
Si sente un esempio per le donne?
«Ci sono tante donne che lasciano il segno, io mi ritengo una donna che cerca di essere una persona perbene, onesta. Come diceva Proietti, sarebbe bello che tornasse di moda essere delle persone perbene».
Cosa le è rimasto dall’aver vestito a lungo i panni di una suora in Che Dio ci aiuti?
«Sono i panni più comodi che io abbia mai indossato: niente tacchi, niente cambi d’abito. Questo ruolo mi fa respirare un’atmosfera di spiritualità, di cui abbiamo bisogno. Mi pone domande come “Che cosa ci sarà dopo questa vita?”. Mi chiedo se in questo momento mia madre abbia incontrato Gigi Proietti, che è stato un suo amico. Magari sono da qualche parte a fumarsi una sigaretta».