Camp Zafar, Herat, Afghanistan
Il viceministro per la sicurezza del ministero degli Interni, il generale
Mohammad Ayoub Salangi (nella foto di Romina Gobbo), ascolta i responsabili del Centro di coordinamento delle forze di sicurezza afghane, che spiegano le misure approntate, nell'area del Regional Command West, in vista delle
elezioni presidenziali del 5 aprile 2014 (saranno eletti anche i rappresentanti delle province), le terze dalla caduta del regime dei talebani. Un
passaggio cruciale per la democrazia, hanno sottolineato tutti gli intervenuti: i governatori delle province, gli helder (capi tribù), i rappresentanti di esercito, polizia e intelligence. Non va dimenticato che alle elezioni del
2009 gli osservatori dell'Unione Europea denunciarono la presenza di
un milione e mezzo di voti fraudolenti e aprirono inchieste sui
brogli.
La fase di registrazione dei nuovi votanti, iniziata a maggio 2013 nelle quattro province della regione ovest -
Farah,
Baghdis,
Herat e
Ghor -, ha già evidenziato alcuni problemi. Infatti, in alcuni distretti ad alto rischio non è stato possibile distribuire le schede elettorali. 564 persone sono state impiegate, a livello distrettuale e provinciale, nei centri di registrazione, ai quali potevano rivolgersi gli interessati ad avere la scheda elettorale (i nuovi maggiorenni, chi ha cambiato residenza, chi l'aveva perduta o i rientrati nel Paese). Al 31 dicembre 2013, si era
registrato (sarà possibile farlo ancora fino al 2 aprile) il
95 per cento della popolazione, per un totale di un
milione e mezzo di nuovi votanti, di cui il
65% maschi, il
35%, femmine. Quasi
13 milioni sono invece i
votanti in tutto il Paese, su un totale di 25 milioni di abitanti; saranno allestiti 6.000 seggi elettorali, protetti da 350 mila uomini delle forze afghane di sicurezza nazionale.«Ditemi dove potrò votare e dove non potrò. I seggi sotto grave minaccia non saranno aperti»: ha detto perentorio il capo della sicurezza di Abdul, Jamil Shamal, ai convenuti a Camp Zafar.
Al
confine con l'Iran (a causa dei traffici di droga) e, a Nord,
con il Turkmenistan (per la presenza di giacimenti petroliferi), non è stato possibile allestire il centro di registrazione, perché si tratta di zone
fuori controllo governativo. Di conseguenza, su un totale di 1.087 seggi, 173 sono stati considerati impossibili da essere aperti; 125 ad alto livello di pericolosità, 181 a medio livello, 608 a basso livello; proprio dal livello di pericolosità dipenderà il dispiegamento di
poliziotti (
10-15 nei seggi più a rischio, per poi andare a scalare fino a 4 uomini per i seggi più sicuri).
Polizia all'interno dei seggi, personale dell'esercito fuori, nei dintorni. Ogni persona sarà perquisita per verificare che non conduca armi all'interno del seggio (il controllo sulle donne sarà effettuato da un cospicuo numero di insegnanti appositamente formate). D'altra parte, non si può dire che la
Regione Ovest sia pacificata, visto che conta ancora
dai 4 ai 5.000 guerriglieri, fino a ieri chiamati insurgents, oggi assurti a enemies of Afghanistan. Cambia il nome, ma non la sostanza. Essi potrebbero creare non pochi problemi allo svolgimento delle elezioni. Ma la parola d'ordine del generale Salangi è stata cercare il
coinvolgimento della popolazione attraverso attività di propaganda e ridurre il più possibile le operazioni cinetiche.
Perché è
necessario che il nuovo Governo sorga con il più ampio consenso possibile. Ne va dello sviluppo futuro dell'Afghanistan.La novità è che sia per quanto ha riguardato tutta la fase preparatoria quanto per le elezioni vere e proprie, la gestione è totalmente degli afghani, attraverso la
Commissione Elettorale Indipendente (formata da cinque membri, con funzioni anche di vigilanza, per garantire la legalità del voto), anche se sotto l'occhio attento dell'Advisor Team dell'
Operations Coordination Center-Regional (OCC-R W AT), comandato dal
colonnello Fabio Asso. «La comunità internazionale - spiega Asso - ha scelto di restare fuori dall'organizzazione, così come di evitare di avere rapporti con i candidati affinché non si dica che sono state fatte pressioni o che ci sono state ingerenze esterne. La nostra azione sarà limitata al supporto indiretto alle forze locali al momento del trasporto dei materiali elettorali».
Le elezioni del 5 aprile saranno segnate dalla (presunta)
uscita dalla scena politica del presidente
Hamid Karzai, che non potrà presentarsi per il terzo mandato (la Costituzione non lo consente), e dalla
fase finale della missione Nato. I seggi, allestiti nelle scuole, saranno aperti dalle 7 di mattina alle 16. Lo spoglio, poi, si farà a livello centrale, a Kabul. La Commissione Elettorale Indipendente si occuperà di dirimere eventuali controversie fra i candidati. Ma vi sarà anche la presenza di
osservatori stranieri.
I risultati verranno annunciati il 14 maggio 2014 ma, se nessun candidato otterrà oltre il 50% dei voti, il 28 maggio ci sarà il ballottaggio. Il 7 giugno, invece, sarà reso pubblico l'esito dei Consigli provinciali. I requisiti per poter candidarsi erano:
avere 40 anni, essere
incensurati,
non avere la doppia cittadinanza, avere
100 mila firme di sostegno da 20 delle 34 province afghane e depositare un milione di afghani (ovvero 18mila dollari).
I candidati alla Presidenza (alcuni con un curriculum non proprio limpido) sono:
Abdullah Abdullah, leader della
Coalizione Nazionale dell'Afghanistan (in passato guardia del corpo di Ahmad Shah Massoud, leader dell'Alleanza del Nord, assassinato nel settembre 2001), ministro degli Affari esteri dal 2001 al 2005. Cercò di contrastare Karzai alle presidenziali del 2009, ma si ritirò nella seconda fase denunciando brogli. Il primo febbraio,
due assistenti del candidato Abdullah Abdullah sono stati uccisi nella città di
Herat, a dimostrazione che, a poco più di due mesi dalle elezioni, la tensione nel Paese sta aumentando.
Il filoccidentale
Ashraf Ghani, nel 2006 candidato alla successione di Kofi Annan, poi dirigente presso la Banca Mondiale, ben visto da Washington, ma in patria considerato straniero.
Zalmay Rassoul, ministro degli Esteri del governo Karzai, dimissionario dallo scorso ottobre.
Abdul Rassoul Sayyaf, salafita, negli anni Ottanta mujāhid a capo dell'Unione islamica per la liberazione dell'Afghanistan.
Qayoum Karzai, fratello maggiore del presidente Karzai.
Gul Agha Sherzai, già governatore delle province di Nangarhar, nell'est dell'Afghanistan, e di Kandahar, a sud-est.
Abdul Rahim Wardak, già ministro della Difesa, ex comandante mujāhid, leader della resistenza contro le forze sovietiche.
Qutbuddin Helal, un passato nel partito armato Hezb i Islami, fondato da Gulbuddin Hekmatyar.
Sardar Muhammed Nadir Naeem, nipote materno di Sardar Dawood Khan, l'ex presidente dell'Afghanistan.
Abdul Rab Rassoul Sayyaf, influente studioso islamico ed ex comandante jihadista.
Hidayat Amin Arsala, nel 2002 vicepresidente del governo transitorio.