A volte un’immagine dice più di molte parole e poche immagini sono potenti come quella di Papa Francesco con sulle spalle una stola bianca che finisce a righe colorate e con accanto don Luigi Ciotti in maglione. È un’immagine di un anno fa e resta potente perché quella stola non è una tra le tante, ma la stola di don Peppe Diana, ucciso dalla camorra a Casal di Principe il 19 marzo di 21 anni fa.
Emilio è il fratello di don Peppe, quasi gemello, 21 mesi in meno di lui. Accetta di ricordare, di riflettere sul percorso di questi 21 anni.
Signor Emilio, qualche giorno fa Nando Dalla Chiesa ha riferito un pensiero di vostra madre, rivolto alla politica che passa e dimentica. È così, vi sentite dimenticati?
“Il problema non è dimenticare noi, è fare qualcosa di concreto per la comunità. Venire qui a fare la passerella è semplice ma non basta: bisogna cercare di sbloccare il problema del lavoro, di dare più opportunità ai giovani. Ma è vero che da quel 19 marzo tante cose sono cambiate qui”.
Al vescovo è arrivata una petizione per chiedere la causa di beatificazione di don Peppe, non è ancora la causa aperta è vero, ma che sentimenti vi suscita?
“Ci aspettavamo che si sarebbe parlato di beatificazione dopo la beatificazione di don Puglisi, in fondo le ragioni della morte sono le stesse, hanno entrambi pagato il lavoro con i ragazzi, lo strapparli alla camorra. Ci saremmo anche aspettati che se ne parlasse prima”.
Ci regala un ricordo personale?
“I discorsi di mio fratello, quand’era ancora casa, le cose che diceva e che annunciavano il sacerdote che sarebbe diventato, eravamo ragazzi, ma era già lui”.
Vi siete resi conto di quanto scomodo fosse, nel dire certe cose?
“Un timore generico sì, pensavamo che qualcuno che non gradiva le cose che diceva contro la camorra dal pulpito potesse chiedergliene conto, affrontarlo, ma non fino al punto di ucciderlo. Anche perché conoscevamo le sue idee, ma abbiamo avuto solo dopo contezza vera della dimensione del suo impegno”.
Ha detto che sono cambiate tante cose in meglio a Casal di Principe, basta questo ad affrontare un dolore di cui difficilmente ci si dà pace?
“Non si dimentica, certo: non ci si rassegna a non averlo qui a condividere i giorni con noi, ma è un conforto rendersi conto, respirando il clima, che il suo sacrificio non è stato vano, che ha aperto gli occhi a tanti ragazzi, alla società civile. Oggi a Casal di Principe si vive meglio rispetto ad allora e io credo che sia anche merito di mio fratello”.
Pensa che sia ricordato abbastanza?
“Ora sì, merito degli scout che l’hanno fatto conoscere anche oltre l’Italia, e un grande merito dobbiamo rendere a Libera che non ha mai smesso di ricordare tutte le vittime anche quelle più nell’ombra. Vorrei che lo Stato ci fosse di più però, non per ricordare, ma per dare lavoro e un’alternativa vera a questa terra”.