Il terzo e ultimo capitolo della trilogia che Emma Dante ha dedicato all’opera di Giambattista Basile è tratta da un racconto della raccolta Lo cunto de li cunti, novelle in lingua napoletana del 1634, capolavoro della letteratura barocca.
Preceduto da La Scortecata e Pupo di zucchero, Re Chicchinella è il termine - o una rampa di lancio per la ricerca, per dirla con Dante - di un lungo viaggio attraverso l’opera di un autore «affabulatore, un inventore di favole che sempre molto hanno a che fare con la realtà», dichiara Dante.
La vicenda è semplice e lineare, “magica”: un re, trovatosi nella condizione di dover defecare senza aver modo di pulirsi, utilizza come carta igienica quella che pensa una gallina morta trovata lì vicino. In realtà, la gallina è viva e si insinua direttamente nel suo corpo, abitandolo per sempre. È così che il re comincia a produrre uova d’oro, diventando un personaggio prezioso sotto ogni punto di vista, sia per la sua famiglia che per il suo intero regno.
In realtà, la gallina rappresenta un cancro, che lo ammala e lo isola dagli affetti e dall’empatia della corte intorno a lui, lasciandolo in una condizione di solitudine e di abbandono.
Nella novella di Basile, il re è un personaggio secondario rispetto alla vicenda, ma nella riscrittura di Dante assume un ruolo principale, così come anche tutti i sentimenti che la condizione che vive scatena in chi gli è vicino: avidità, anaffettività, sfruttamento.
Per dar vita a una novella di oltre quattro secoli fa, è stato necessario innanzitutto dare un corpo a quelle parole, soprattutto a quella lingua dialettale napoletana che ristagna all’interno della storia. «Per me le parole che si pronunciano in scena devono avere un corpo: non devono solo essere pronunciate, ma generate dal corpo» spiega Emma Dante in conferenza stampa. «Il lavoro è stato fatto sul grottesco, sull’impostazione della commedia dell’arte. Gli attori hanno lavorato tantissimo sulla postura del corpo come se avessero delle maschere. Non c’è scenografia, quindi la loro presenza è sempre il racconto di paesaggi, colmano col loro essere un palco che non ha niente. Hanno lavorato molto sulla postura, sul corpo, sui movimenti, sulla danza, sulla scompostezza».
La lingua dialettale, pur comprendendo alcune parole ed espressioni inaccessibili, è stata rivista e riscritta, in modo tale da non aver bisogno dei soprattitoli, perché «la scrittura di Basile è già molto corporea», spiega Dante.
In scena, oltre gli attori, anche una gallina, salvata dalla compagnia da un contadino che l’indomani l’avrebbe mangiata. L’hanno accolta e affidata a uno degli attori, che se ne è fatto protettore e gli ha dato nome e il suo stesso cognome: Odette Lodovisi.
Lo spettacolo, coprodotto dal Piccolo Teatro di Milano e dalla Compagnia Sud Costa Occidentale, debutterà in prima nazionale al Teatro Studio Melato dall’8 al 28 marzo.