All’ultimo piano di un
albergo, alla fine di un
lungo e tortuoso corridoio
immerso nel buio,
c’è la stanza 007. Sarebbe
davvero perfetta per James
Bond. Solo che chi la
occupa non assomiglia
affatto a un agente segreto. In jeans e
giubbotto in pelle, Enrico Ruggeri ci
racconta del concerto che gli cambiò
la vita: «Gli Emerson, Lake & Palmer
al Vigorelli di Milano».
L’ottimo momento di forma mostrato
a Sanremo, dove è arrivato quarto
con Il primo amore non si scorda mai,
è confermato dal suo nuovo doppio album
Un viaggio incredibile, che accosta
canzoni inedite a riletture di suoi successi
pubblicati tra il 1986 e il 1991, più
quattro omaggi a David Bowie.
Enrico, qual è la cosa più incredibile
del tuo viaggio nella vita?
«Il fatto che io sia qui. Quando ho
iniziato questo lavoro, mi dicevo che mi
sarebbe piaciuto fare cinque album e
un centinaio di concerti. Oggi di album
ne ho fatti 32 e di concerti più di 3 mila».
E il tuo primo amore lo ricordi?
«Una bambina che abitava nel
mio palazzo, Michela. Avevo cinque
anni e grazie a lei ho imparato a
scrivere perché volevo a tutti i costi
inviarle una lettera. Ma in realtà con
la canzone ho voluto celebrare tutti
i primi amori, gli eventi importanti
nella vita di ciascuno di noi, come la
prima volta che ho collegato la mia
chitarra all’amplicatore».
Tra le nuove canzoni c’è La badante è ispirata a un personaggio reale?
«Sì. Una zia, morta l’anno scorso,
aveva una badante sudamericana, che
aveva dei figli dall’altra parte del mondo.
Ho riflettuto su queste persone
che, potendo dare ai figli solo i soldi
che guadagnano ma non il loro amore,
lo riversano tutto sui nostri bambini o
sui nostri anziani, che noi invece spesso
non seguiamo più perché impegnati
a correre chissà dove».
Tra le canzoni che hai ripescato,
invece, c’è Prima di te, in cui canti:
“Sono stato anch’io cattivo, suonavo
l’heavy metal quando tu eri chiuso
nell’asilo”. Sei stato davvero cattivo?
«Sono cresciuto negli anni di
piombo e della diffusione dell’eroina
tra i giovani. C’era in noi questa
rabbia contro la società. A scuola gli
eroi erano o il più ricco della classe o
il capo del movimento studentesco, figure che spesso coincidevano. Io per
tutti ero “quello della Seconda H che
suona” e questa collocazione mi andava
bene: la mia ribellione la esprimevo
con la musica».
A proposito di giovani. Hai usato
parole molto dure nei confronti dei
testi dei tuoi giovani colleghi del Festival
di Sanremo…
«Sembrano scritti da persone che
non leggono libri, che non vanno al
cinema, che non hanno dimestichezza
con la consecutio temporum, figli di una
generazione sintetica, da 140 caratteri.
Non escono mai dal microcosmo “l’amavo,
mi ha lasciato e ora soffro tanto”.
È meraviglioso raccontare l’amore, ma
ci vuole un po’ di acume nel trovare
angolazioni originali».
Giochi ancora nella Nazionale Cantanti?
«Certo, e sono in costante miglioramento
da quando ho perso un
po’ di chili».
Sempre con la mitica maglia
numero 10?
«Quella è assolutamente intoccabile.
L’ho data solo a Maradona,
quando abbiamo giocato assieme.
A Zola che me l’ha chiesta, invece,
ho detto: “Guarda che tu al Chelsea
avevi il 25”. Ma con Maradona non ho
avuto il coraggio».
E i tuoi tre gli sono tutti interisti
come te?
«Per motivi di asse ereditario, perché
in caso contrario verrebbero immediatamente
derubricati dal testamento.
Però devo dire che mentre Pico, il maggiore,
ha vissuto l’epopea dell’Inter che
non vinceva mai e che poi di colpo si è
ritrovata con il triplete di Mourinho, gli
altri due vivono il tifo con più distacco.
Del resto, credo che oggi sia difficile
che un bambino si innamori del calcio
com’è capitato a noi».
Stai per pubblicare un nuovo giallo,
dopo il successo di La brutta estate.
Di cosa parla?
«È una specie di sequel del precedente,
dove c’era un commissario che
aveva un ruolo secondario. Avevo voglia
di scoprirlo di più. Non sono molto
attratto dall’aspetto enigmistico
del giallo. Mi piace piuttosto mettere
delle persone normali a contatto con
l’eccezionalità».
Nel 2013 hai pubblicato l’album
Frankenstein. Sulla tua pagina Facebook
c’è una citazione tratta dalla
canzone omonima: “Dio dell’immagine
dell’apparenza salva l’effimero
più dell’essenza”. Cosa vuol dire?
«La vanità del dottor Frankenstein
è quella di voler superare le leggi della
natura: un argomento attualissimo.
Siamo circondati da gente che fa di
tutto per non accettare il passare del
tempo sul proprio corpo che, invece,
secondo me è soltanto uno strumento
per portare il cervello da una parte
all’altra del mondo. L’essenza sta dentro
di noi».