(Nella foto: Enzo Bianchi, priore Comunità di Bose - immagine tratta dal sito www.monasterodibose.it)
La misericordia è qualcosa di scandaloso, folle persino per la logica umana. Non di rado, nel corso della storia e all’interno della Chiesa, è stata interpretata esattamente all’opposto da come l’ha messa in pratica Gesù con la donna adultera che scribi e farisei volevano lapidare. Enzo Bianchi parla con la verve dell’uomo appassionato. Cita i Vangeli, la festa ebraica dello Yom Kippur, il profeta Osea e il mistico russo Silvano del Monte Athos. Al Salone del Libro di Torino dialoga con lo psicanalista Massimo Recalcati partendo dal suo ultimo libro L’amore scandaloso di Dio (San Paolo, 144 pp. € 7,99).
Il Priore della Comunità di Bose sottolinea il senso paradossale della misericordia: «Non è il pentimento che crea il perdono», spiega, «ma il perdono che ci viene dato che provoca il pentimento». Questo è possibile grazie alla «forza asimmetrica», come la definisce Recalcati, del perdono: «Non perdono l’altro perché si pente ma lo perdono perché questo gesto apre allo scenario inedito del pentimento e permette a quell’uomo di ricominciare».
Nell’Auditorium del Lingotto gremito di gente un laico e un uomo di fede dialogano su una materia spinosissima e a tratti sembra un duetto di voce sola. «Nella mia esperienza di psicanalista», sottolinea Recalcati, «so bene che se c’è un’esperienza umana che più somiglia alla risurrezione, questa è l’esperienza di essere perdonati. Perché permette a chi è perdonato di continuare a vivere, gli offre un’altra chance, segna un nuovo inizio». Enzo Bianchi fa una premessa: «Il tema del perdono non mi appartiene né dall’infanzia, né dall’educazione cattolica. Fino a 30 anni ero rigorista, i miei modelli erano Giovanna d’Arco e Thomas Beckett». Poi l’incontro con il testo biblico e con quella affermazione, autenticamente scandalosa e rivoluzionaria, che il profeta Osea mette in bocca a Dio: “Misericordia io voglio e non sacrifici, la conoscenza di Dio più degli olocausti”». Bianchi spiega il senso di questa doppia affermazione: «Sacrifici e olocausti, concettualmente, vanno insieme e questo in fondo lo capiamo», scandisce, «più difficile da capire, perché radicalmente nuovo, è mettere insieme misericordia e conoscenza di Dio. Significa che Dio lo possiamo conoscere solo in un’esperienza passiva di misericordia, di amore e di riconciliazione, altrimenti diventa un idolo che ci fabbrichiamo su misura, il prodotto delle nostre proiezioni. L’inferno per l’uomo, per ognuno di noi, è non essere perdonati da nessuno».
La copertina del libro di Enzo Bianchi
«Il sacrificio di Gesù sulla Croce libera l'uomo dal sacrificio»
Gli fa eco Recalcati: «Quella di fratel Enzo è una concezione antisacrificale del Cristianesimo», dice. «Gesù è una possibilità di liberazione dal sacrificio, dall’abnegazione, dalla mortificazione. Il libro di Enzo Bianchi sul Dio misericordioso è un libro sulla legge. Gesù libera la legge dalla legge stessa, con lui termina la concezione patibolare, retributiva e giustizialista della legge. La giustizia di Dio che Gesù incarna implica l’eccezione, la possibilità del perdono. Lo dimostra l’episodio dell’adultera».
Enzo Bianchi allora commenta un’altra parabola, quella del Padre misericordioso o del figliol prodigo del Vangelo di Luca: «All’inizio, quando ritorna a casa, il figlio prodigo non lo fa perché era pentito ma perché stava male e non aveva da mangiare tanto che dice al padre, con tono perentorio, da comando: “trattami come uno dei tuoi salariati”. Il padre non cerca spiegazioni, gli dona subito la veste più bella, l’anello al dito e ammazza il vitello grasso per fare festa. Il perdono del padre precede il pentimento del figlio prodigo. Ecco lo scandalo».
L’ultimo scampolo del dialogo è sul sacrificio. Dice Bianchi: «Il sacrificio è comune a tutte le religioni e non di rado genera violenza. Se il sacrificio è mortificazione non ha nulla a che fare con la vita cristiana. Se invece è rinunciare a qualcosa per l’altro allora tutti i giorni facciamo sacrifici». Chiude lo psicanalista Recalcati: «Il sacrificio diventa patologico quando genera un godimento nel soggetto e diventa criterio di superiorità morale nei confronti degli altri. Questo è un rischio sempre presente nella psicologia dell’uomo religioso. Gesù Cristo muore sulla Croce e compie l’ultimo, grande sacrificio che libera definitivamente l’uomo dal sacrificio».