«Ha sorpreso anche chi come me lavora nell’ecumenismo da cinquant’anni». Enzo Bianchi, priore della Comunità monastica di Bose (Biella), nell’ultimo biennio ha seguito da vicino ogni passo di Francesco per l’unità con le altre Chiese cristiane e il dialogo con le altre religioni. Due anni fa il Papa l’ha nominato consultore del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, eppure anche da questo osservatorio capita di essere spiazzati.
«Con papa Francesco l’ecumenismo della Chiesa cattolica ha fatto un vero balzo in avanti. Prima si parlava di situazione “nebbiosa” dell’ecumenismo: il cardinale Carlo Maria Martini diceva così. Negli ambienti ecumenici si parlava addirittura di situazione “comatosa”. Poi è arrivato papa Francesco e tutto quello che sembrava impossibile è diventato possibile, per cui siamo costantemente sorpresi dai suoi gesti di ecumenismo, una novità non prevista nemmeno da coloro che sono direttamente impegnati per la comunione fra le Chiese da anni».
A sorprendere è la creatività dei gesti nell’affrontare la sfida dell’unità dei cristiani. Quali sono quelli che l’hanno colpita di più?
«Dobbiamo ricordarne almeno due. Innanzitutto, la sua testardaggine nel voler incontrare il patriarca di Mosca e il suo essere disponibile e raggiungerlo dappertutto. Papa Francesco ha anche lasciato che le condizioni dell’incontro fossero stabilite da Mosca. Si è adattato pur di incontrare quello che lui chiama suo “fratello della fede e nell’episcopato”. L’altro gesto enorme è stato partecipare alle celebrazioni per i cinquecento anni dalla Riforma di Lutero. Fino a un anno fa era ritenuto impossibile, invece lui ha spiazzato tutti. Andando a Lund, in Svezia, ha dimostrato che si può avere insieme un nuovo sguardo sulla Riforma, che questa non è più motivo di contrapposizione fra protestanti e cattolici, che si può chiedere perdono gli uni agli altri per le colpe commesse. Papa Francesco è riuscito anche in questa novità, che nessuno poteva assolutamente pensare».
Nel campo dell’ecumenismo e del dialogo anche Giovanni Paolo II aveva compiuto gesti profetici. Ma ora sembra ci sia un’urgenza di arrivare alla meta dell’unità con le Chiese cristiane. È così?
«Giovanni Paolo II ha avuto il coraggio dell’enciclica Ut unum sint, dicendosi disponibile a riformare il papato secondo i consigli delle altre Chiese: questa è una delle cose più grandi che sia avvenuta per l’ecumenismo. Papa Francesco va più in là: l’ecumenismo lo chiede, e fa dei gesti. A costo, oserei dire, di trovarsi qualche volta in una situazione di umiliazione. È successo anche di recente durante il viaggio in Georgia: una visita fraterna, in cui però il Papa ha accettato che la delegazione ortodossa, per propria volontà, non partecipasse alla Messa celebrata allo stadio. Ecco, queste cose che per alcuni sembrano una diminuzione, un abbassamento, il Papa le vede come occasioni per vivere il Vangelo».
Francesco ha degli alleati nelle altre Chiese in questo percorso verso l’unità?
«Certamente il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo. Lo si vede dai gesti, dalla condenza che hanno, dai titoli che si danno l’un l’altro e dal fatto che si vedono più volte durante l’anno. Va detto che da parte della sede di Costantinopoli c’è un forte bisogno di andare verso l’unità. Quel patriarcato sta nel cuore della marea musulmana, dove la presenza ortodossa è una piccola minoranza. Anche le Chiese del Medio Oriente, perseguitate e in situazioni difficili, chiedono l’unità. Il patriarca copto ortodosso di Alessandria Tawadros è su questa linea. Però i corpi delle Chiese sono molto più lenti e ci sono ancora tanti che contraddicono l’ecumenismo perché ne hanno paura».
Francesco si definisce “vescovo di Roma” e fratello degli altri vescovi. Una riforma del papato aiuterebbe l’ecumenismo?
«Ci sono problemi legati alla dottrina, che non può essere cambiata, ma va reinterpretata insieme. Questo è molto più difficile sia da una parte che dall’altra, perché non è solo la Chiesa cattolica che deve togliere o modicare qualcosa. Bisogna che gli altri siano disponibili a fare questo cammino insieme, e abbiamo visto ultimamente che gli ortodossi sono molto più lenti di quello che noi desidereremmo».
Se sul fronte dell’unità dei cristiani si avverte un’accelerazione, il dialogo con le altre religioni appare più difficile. Perché?
«Le difficoltà riguardano, è inutile nasconderselo, il dialogo con l’islam. È vero che ci sono stati incontri con alcuni esponenti del mondo islamico e passi di dialogo sono stati fatti. Resta il fatto che il dialogo con queste realtà non cristiane ha tutt’altro significato rispetto al dialogo fra cristiani, dove il riferimento unico è Gesù Cristo. Può essere un dialogo per la convivenza, per la pace e la riconciliazione, ma nelle altre religioni ci sono differenze che sul piano teologico vanno accettate».
Lei ha definito Francesco «un uomo docile allo Spirito». Lo è più di altri Papi?
«Benedetto XVI era straordinariamente docile allo Spirito, un uomo umile, capace di ascolto. Però certamente lo Spirito parla in modo diverso, con tempi diversi, a persone diverse, le quali non sono degli organi inerti in cui lo Spirito passa, ma danno carne alle sue intuizioni, che possono cambiare non solo da Papa a Papa, ma da cristiano a cristiano. Questa è la bellezza della Chiesa, in cui non c’è una sola maniera di esprimere lo Spirito Santo».