È stata accolta da più parti come una vera conquista, una rivoluzione culturale che allinea l’Italia all’Europa: è l’introduzione nei Livelli essenziali di assistenza (Lea) dell’anestesia epidurale per il parto indolore. A fine anno il ministro della Salute Renato Balduzzi ha aggiornato i Lea e stabilito la «maggiore diffusione dell’analgesia epidurale, prevedendo che le Regioni individuino nel proprio territorio le strutture che effettuano tali procedure e che sviluppino appositi programmi volti a diffondere l’utilizzo delle procedure stesse». Anestesia diffusa e gratuita per tutte le partorienti, è stato scritto su molti giornali, per superare “finalmente” l’anatema biblico del “partorirai con dolore” e un certo retaggio maschilista e patriarcale che avrebbe frenato la “liberazione” della donna dalla sofferenza del parto.
Non altrettanto entusiaste, anzi alquanto preoccupate per la salute e il benessere psicofisico delle donne e dei loro bambini sono invece molte ostetriche e psicologhe esperte del percorso nascita. Una voce controcorrente ma estremamente lucida e quasi “profetica” rispetto al trend occidentale che vuole la nascita sempre più come un evento pulito, asettico, indolore, da affrontare con un approccio medico. «Le attuali condizioni di vita, lo stress e i ritmi frenetici della vita quotidiana, il rifiuto del disagio e dei momenti di difficoltà rispetto a un ideale di perfezione e di successo hanno reso l’esperienza del dolore nel parto un elemento intollerabile», sottolinea Loredana Zecchin, ostetrica presidente dell’associazione milanese “Felicita Merati”. «Eppure, in un parto fisiologico il dolore ha un ruolo fondamentale e una molteplicità di significati: con la sua ritmicità guida il parto ed è uno stimolatore endocrino che presiede al rilascio alternato di ossitocina e di endorfine, che aumentano la resistenza della donna. Il dolore è anche un’esperienza psichica: permette di sfogare la sofferenza emotiva di separarsi dal quel figlio che si è portato in grembo per nove mesi».
Esistono molti strumenti per la gestione e il contenimento del dolore, dalla respirazione alla comunicazione affettiva con il padre del bambino, fino alla presenza costante dell’ostetrica in un ambiente accogliente. «Ma se la prassi sanitaria riduce spazi e personale dedicati a questo momento, imponendo che il parto sia sempre più un evento controllato, da svolgere in fretta, nella solitudine della donna, allora è chiaro che l’epidurale sembra l’unica risorsa possibile».
I dati mostrano che l’Italia è tra i paesi occidentali che ha maggiormente medicalizzato il parto. Un bambino su quattro nasce con il cesareo, la pratica della “programmazione” dell’intervento ha fatto superare, in alcune regioni, anche il 60% delle nascite attraverso la procedura chirurgica, che comporta maggiori rischi e maggiori costi (al punto che lo stesso ministro Balduzzi, l’anno scorso, ha fatto partire un’indagine condotta dai Nas). La diffusione dell’analgesia epidurale, attualmente utilizzata dal 15% delle partorienti, rappresenta un altro tassello verso una totale medicalizzazione dell’evento nascita. «Contrariamente a quanto si è scritto in queste settimane, le ostetriche non sono contrarie all’epidurale: quando questa è necessaria, ben venga. Anzi, è giusto che sia alla portata di tutte le donne, non solo di quelle che possono pagare per averla», sottolinea Antonella Nespoli, ricercatrice ostetrica presso l’Università Bicocca. «Ma ciò che io vedo, nel decreto Balduzzi, non è un’estensione di un diritto, non è una scelta in più. Le donne avranno sempre più l’anestesia, ma questa diventerà l’unica modalità possibile».
Partorire, però, non è come togliere un dente: «E’ una delle esperienze più importanti della vita», prosegue. «Le statistiche dimostrano che il ricorso all’analgesia e ancora di più al cesareo diminuiscono esponenzialmente se le donne hanno la possibilità di prepararsi al parto e di contare sulla continuità assistenziale di un’ostetrica che le accompagna attraverso tutte le fasi del travaglio, cercando una risposta personalizzata al dolore». L’universalizzazione dell’epidurale, obiettano molti commentatori, è uno strumento che allinea l’Italia al resto d’Europa. «Nel resto d’Europa, però, le donne hanno una vasta scelta su come e dove partorire», avverte la Nespoli. «In Inghilterra, ad esempio, le donne possono scegliere tranquillamente di partorire in casa, possono andare in un born center o in ospedale. La scelta del luogo determina il parto che faranno, ed è una scelta davvero libera e consapevole». «In Italia sempre più datori di lavoro negano il permesso per frequentare il corso pre-parto. Questo significa che le donne non possono prepararsi all’esperienza più importante della loro vita, significa che arrivano in ospedale molto spaventate e che chiederanno immediatamente di essere sollevate da un dolore che non sanno come affrontare», conclude la Nespoli.
«Parto indolore è una contraddizione in termini», commenta Giuliana Mieli, filosofa e psicologa, con un’esperienza trentennale nei reparti di ostetricia e autrice del libro “Il bambino non è un elettrodomestico” (ed. Feltrinelli), in cui spiega chiaramente il significato del dolore nel parto. La questione, sottolinea, si condensa in poche domande a cui bisogna poter dare una risposta prima – e non durante – il parto: «Come vuoi mandare il tuo bambino nel mondo? Vuoi essere con lui al momento della separazione?». «C’è tutta una propaganda di modernità contrapposta al dolore», commenta la Mieli. «Al dolore appare necessario ribellarsi e molte donne fantasticano sul fatto che l’epidurale le metta in condizioni di maggior rispetto. Di fronte a questo evento sono anzi convinte di avere una libertà senza limiti, anche quella di scegliere il parto cesareo. Penso che il senso del dolore nel parto sia da comprendere, finalmente, in modo laico: non è una condanna biblica, è la comprensione profonda - e l’accettazione - della nostra naturalità, che comprende vita e morte».
La civiltà occidentale sta negando progressivamente queste due esperienze fondamentali dell’essere umano, avverte la Mieli. «E’ necessario arrivare al parto preparate, bisogna trovare le risposte ad alcune domande fondamentali: Cos’è la gravidanza? Perché la natura ha scelto di farti partorire così? Il parto è il primo atto espulsivo del bambino, è un corpo che si separa dal suo frutto: la donna vive una ferita narcisistica, perché la nascita del suo bambino segna la fine di un periodo di onnipotenza, in cui il suo corpo materno e avvolgente bastava completamente al figlio». «C’è una ragione, allora, se il bambino si affaccia gradualmente al mondo, attraverso il “moto ondoso” del travaglio», sottolinea la dottoressa Mieli. «L’uscita è graduale, non improvvisa, è accompagnata dalla madre, che lo spinge fuori ma poi lo aspetta, è sempre lì: proprio come avviene dopo, nel processo lento e graduale della sua crescita».