Le rifiutano l’assunzione perché, aprendo la sua pagina Facebook, si accorgono che è fidanzata con un ragazzo africano. È l’ennesimo episodio che ci pone di fronte a un razzismo radicato e quotidiano, che si è polverizzato e diffuso divenendo pervasivo e normalizzato. Il razzismo normale di un paese che si vuole normale (e normalizzato).
Chiara, 18 anni, abita a Chivasso in provincia di Torino e lunedì 7 agosto ha postato su un gruppo Facebook: «Ho la licenza media e ho urgente bisogno di lavoro». Un negoziante di dischi di Torino ha letto l’annuncio e l’ha contattata chiedendole il curriculum. Dopo un’ora, ritratta: «Scusa, ma ho guardato bene il tuo profilo. Non credo che tu sia la persona che sto cercando, mi spiace».
All’inizio Chiara pensava che il problema fosse qualche sua foto, ma nello scambio di messaggi che segue si intuisce il motivo del rifiuto: «Se ti posso dare un piccolo consiglio, cambia le foto e non evidenziare il tuo rapporto. Non so se mi spiego». La diciottenne è infatti fidanzata con un ragazzo nigeriano di un anno più grande, di cui il titolare del negozio ha visto il ritratto su Facebook. Quando la “colpa” è svelata, Chiara s’indigna ma si sente rispondere: «Per me puoi uscire anche con il mostro di Firenze, ma permettimi di non affidare la cassa di un negozio a chi divide la sua vita con un africano». Lo scambio va avanti, con il negoziante che definisce la ragazza «una squinternata» su diversi gruppi, facendole quindi una cattiva pubblicità.
Il caso di Chiara è avvenuto a pochi giorni dall’episodio di Cervia, in provincia di Ravenna, dove un giovane milanese si è visto respingere l’assunzione perché aveva «la pelle nera». Paolo aveva trovato l’accordo con l’hotel romagnolo, ma, quando ha inviato la fotocopia della carta d’identità al proprietario della struttura, ha ricevuto questo sms di risposta: «Mi dispiace Paolo, ma non posso mettere ragazzi di colore in sala. Qui in Romagna la gente è molto indietro con la mentalità. Scusami ma non posso farti venire giù. Ciao».
Milena Santerini, presidente dell'Alleanza contro l'intolleranza e il razzismo del Consiglio d'Europa, vede con preoccupazione «la dimensione popolare e banale dell'intolleranza contemporanea, che si traduce nell’affermare che le differenze siano inconciliabili e siamo destinati a vivere separati». Collegandosi ai 14 mesi di lavoro della “Commissione Jo Cox sull'intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio” della Camera dei Deputati, di cui è appena stato pubblicato il Rapporto, sottolinea: «Abbiamo lavorato sulla base della piramide dell’odio, cioè sul discorso razzista che diventa di giorno in giorno sempre più normale e al vertice arriva a discriminazioni e poi crimini; abbiamo evidenziato la pericolosità dei razzismi al plurale, non solo ideologici ma sottili, simbolici, di circostanza, di provocazione, idioti ma contagiosi».
Eppure la vicenda di Chiara e della sua “colpevole” relazione con un ragazzo nigeriano aggiunge un elemento al legame culturale, di stretta attualità in questi giorni, tra la criminalizzazione della solidarietà, la normalizzazione del razzismo e delle ideologie di estrema destra. A proposito di profili Facebook, il titolare del negozio di dischi ha come immagine di copertina una foto di Defend Europe, l’iniziativa di Generazione identitaria contro i migranti nel Mediterraneo, di cui Famiglia Cristiana ha mostrato un collegamento tra le attività dell'organizzazione e il sequestro della nave Iuventa della ong tedesca Jugend Rettett, avvenuta il 2 agosto su ordine della Procura di Trapani.