Per le politiche familiari il bilancio di fine 2021 appare nel complesso positivo, soprattutto grazie all’introduzione dell’assegno unico universale, che nell’arco del 2022 entrerà finalmente a regime. E le famiglie potranno anche perdonare, a questo punto, i costanti ritardi e rinvii della sua applicazione, figli di una politica dell’annuncio che troppo spesso delude le giuste aspettative dei cittadini. D’altra parte, il ritardo delle politiche familiari nel nostro Paese è talmente indietro nel tempo che qualche mese o anno in più o in meno non faranno grande differenza.
Ciò che fa la differenza, però, è la sostanza reale dei supporti e dei sostegni, e da questo punto di vista le ultime settimane consentono di proporre qualche riflessione critica, senza pretese di sistematicità, perché “non è tutto oro quello che luccica”, in particolare dal punto di vista dell’equità degli interventi. Ci aiuta in questo anche un prezioso documento, presentato dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio in una Audizione alla Camera (XII Commissione affari sociali) lo scorso 15 dicembre 2021, facilmente reperibile in rete.
In primo luogo – in positivo, ma anche in negativo – la misura tenta davvero di essere “universale”, e quindi offre 50 Euro al mese per ogni figlio, a prescindere dall’ISEE o dal reddito familiare. In questo rispetta finalmente – sia pure in misura parziale - l’equità orizzontale, vale a dire l’idea che, a parità di (qualunque) reddito, avere un figlio o non averlo fa davvero la differenza. Ma soprattutto è universale perché la platea dei destinatari si amplia finalmente anche a chi non è lavoratore dipendente, arrivando ai veri marginalizzati di quest’ultimo ventennio (almeno): i giovani con lavori precari, o quelli delle piccole partite IVA, o i disoccupati, per i quali i costi di un figlio sono davvero un impedimento forte alle scelta di metterne al mondo uno (non uno in più, anche uno e basta!).
Ma i conteggi presentati al Parlamento evidenziano diverse criticità che non possono essere nascoste sotto il tappeto. In primo luogo sono centinaia di migliaia le famiglie (e i bambini) che “ci perderanno”. Le stime segnalano che saranno tra gli 800.000 e il milione i bambini che riceveranno meno, con l’assegno unico, di quanto ricevevano con il sistema precedente, tra assegno al nucleo familiare, detrazioni e altre misure. Per fortuna, grazie alle pressioni e alla vigilanza di tanti attori sociali (non ultimo il Forum delle associazioni familiari, ma anche da queste pagine), per tre anni verrà utilizzata una sorta di “clausola di salvaguardia”, un meccanismo di compensazione per far sì che nessuno ci perda. Nel frattempo si dovrebbe intervenire per migliorare parametri, algoritmi e criteri di accesso.
Però questa situazione evidenzia un altro problema, forse passato un po’ troppo sotto silenzio, che riguarda il fatto che per troppe famiglie (tra il 15 e il 20% delle famiglie) con l’assegno unico “non cambia niente”. E questa è una cattiva notizia, perché restare come prima significa che le politiche di sostegno alla famiglia rimangono povere, marginali – per questo c’era bisogno di una riforma consistente, radicale, innovativa. Come in parte l’assegno unico è: ma senza risorse aggiuntive, per troppi resterà irrilevante. In effetti era prevedibile, perché su circa 20 miliardi di valore, sono solo 6 i miliardi aggiuntivi, mentre circa 14 miliardi derivano dalla cancellazione di tutte le misure preesistenti. Insomma, risorse tolte alle famiglie, e restituite poi alle famiglie.
Da ultimo, una riflessione complessiva sull’equità dei vari interventi fiscali di questo fine anno nel nostro Paese. Scorrendo i dati della citata relazione in Parlamento si nota infatti che anche la quota di famiglie più ricche beneficia in qualche modo dell’assegno unico, ma con cifre decisamente ridotte: il beneficio medio annuo per figlio del 10% di famiglie più ricche è stimato in media 238 euro (annui!), mentre per il 10% più povero il beneficio medio è di 1.285 Euro. Quindi il già ricordato ampliamento di sostegni per tutti coloro che hanno figli c’è (ed è positivo), ma rimane progressivo, decisamente più a favore dei più poveri (e anche questo è positivo). Quello che stupisce, però, è il confronto con la riforma dell’IRPEF, che è stata mantenuta rigorosamente a livello individuale, senza introdurre alcun criterio di equità familiare, nonostante da più parti si fosse segnalata questa possibilità. Con il passaggio da cinque a quattro aliquote, lo spostamento di alcune soglie di scaglione, e appunto l’assenza dei carichi familiari come correttivo, la riforma IRPEF favorisce molto di più i redditi più ricchi, ed è molto meno progressiva; anzi, i dati riportano vantaggi decisamente più consistenti per le fasce di reddito dai 40.000 ai 60.000 euro, mentre per le fasce più basse i benefici sono molto più ridotti.
Evidentemente tutte queste misure vanno considerate congiuntamente, per misurare l’impatto sui vari livelli di reddito. Tuttavia emerge, un po’ paradossalmente, che la riforma IRPEF a base individuale si è rivelata molto più iniqua di quanto non sia stato l’assegno unico, che tenta di proteggere i figli ed è sicuramente più “family friendly”. Come a dire: le politiche familiari (assegno unico) sanno essere anche politiche redistributive virtuose, se ben pensate, mentre la riforma del fisco a base individuale (IRPEF), incapace di vedere i carichi familiari, premia maggiormente proprio i redditi più alti. Forse sarebbe stato meglio introdurre nell’IRPEF qualche detrazione per carichi familiari, anziché limitarsi a spostare le aliquote! È ancora lungo, nel nostro Paese, il cammino delle politiche familiari!
*Direttore del Cisf (Centro Internazionale Studi Famiglia)