Il quindicenne Erik, seconda superiore in un istituto tecnico, vive a Cologno Monzese. Si è trasferito qui tre anni fa, da Milano. Cinque fermate di metropolitana, l’unica migrazione della sua vita. Eppure non è italiano. Ha il passaporto peruviano anche se in Perù non è mai stato: «Forse andrò quest’estate a trovare i nonni», dice.
Oggi Erik è l’alunno “straniero” tipo delle aule italiane. Straniero a casa propria, a causa dell’arretratezza della legge sulla cittadinanza. Nell’anno scolastico 2013-14, infatti, per la prima volta gli studenti stranieri nati in Italia hanno superato quelli nati all’estero.
Sono il 51,7%, 415.283 su 802.844 di 196 nazionalità diverse. La tendenza era in corso da tempo – alle superiori gli stranieri nati in Italia sono più che triplicati in soli sei anni – ma l’aver passato la metà è il dato principale del rapporto “Alunni con cittadinanza non italiana. Tra difficoltà e successi”, presentato dal ministero dell’Istruzione e dalla Fondazione Ismu.
Al contrario, gli alunni neoarrivati sono scesi dai 46.154 del 2007-08 ai 30.825 del 2013-14. Nell’ultimo anno, tuttavia, sono tornati a crescere: +7.989, soprattutto per l’aumento dei ricongiungimenti familiari e dei minori stranieri non accompagnati. In ogni caso, i figli degli immigrati stanno cambiando la demografia italiana, salvandola dall’invecchiamento e garantendo il ricambio generazionale. Dal 2001-02 al 2013-14 gli stranieri tra i banchi di scuola sono quadruplicati, passando dal 2,2% all’attuale 9%.
Dal 2009-10 ad oggi crescono del 19,2% all’anno, a fronte di una diminuzione del 2% per gli italiani. Nessuna fuga degli autoctoni verso le scuole private, dove la tendenza è la stessa: +16% di stranieri negli ultimi 4 anni, -7,5% di italiani. Se i romeni guidano la classifica delle nazionalità davanti agli albanesi e ai marocchini, la Lombardia è la regione con più studenti stranieri, mentre fanno il record in percentuale l’Emilia Romagna (15,3) tra le regioni e Prato (20,8%) tra le province.
Al Sud i numeri sono più bassi, ma la crescita molto più forte, confermando che il trend è nazionale. Solo nell’ultimo anno +20,5% in Basilicata, + 14,3% in Campania, +12,8% in Campania, +10,3% in Calabria.
Mariagrazia Santagati della Fondazione Ismu indica l’altra novità significativa del rapporto di quest’anno: «Per la prima volta gli istituti professionali non sono più la scelta preferita. Vi si iscrive il 37,9% degli stranieri, mentre il 38,5% opta per i tecnici, seguiti dai licei con il 23,5%. Se però si considerano le sole seconde generazioni, cioè i nati in Italia, i tecnici salgono al 41,1% e i licei al 29,6%».
Per la ricercatrice, che insegna Sociologia dell’educazione all’Università Cattolica di Milano, cresce la voglia di formazione. Lo confermano le immatricolazioni negli atenei: tra i 4.948 extracomunitari – non inclusi quindi i comunitari, come i romeni – del 2013-14, solo il 15% arriva dall’estero. «Tra le nuove matricole», sottolinea, «il 17% ha una maturità professionale, mentre gli italiani che proseguono gli studi dopo un diploma di questo tipo sono solo il 3,8%». Anche nei centri di formazione per adulti (gli ex Ctp, oggi Cpia), gli stranieri sono il 43,9%, in netta crescita.
Ma i dati preoccupanti arrivano dal confronto tra i rendimenti degli italiani con quelli degli stranieri. Per i nati in Italia, la differenza con gli italiani è minima, ma per gli immigrati di recente arrivo il divario è forte. Nelle prove Invalsi delle seconde superiori, gli studenti stranieri ottengono 14 punti in meno in matematica e 27 in lettere rispetto ai compagni italiani. Nei dati Pisa Ocse 2012 il distacco tra i quindicenni sale a 50 in matematica. E proprio da quest’indagine arriva la bocciatura più grave: «I sistemi scolastici di Italia, Spagna, Grecia, Norvegia e Svezia», si legge nel rapporto, «appaiono i meno efficaci come modello di integrazione per il divario tra studenti autoctoni e migranti».