Qui sopra e in copertina: profughi eritrei in Italia. In alto: una veduta aerea della basilica di San Pietro. Foto Ansa.
Abiteranno in un grande appartamento, a due passi dalla basilica di San Pietro. Una mamma e cinque figli provenienti dall'Eritrea (il più piccolo ha pochi mesi): sono loro i nuovi ospiti del Vaticano. Così l'invito di papa Francesco ad aprire le porte ai migranti diventa gesto concreto di accoglienza. Il presente di questa famiglia porta i segni di un passato travagliato. Due dei cinque figli, infatti, non sono a Roma con la madre. Si trovano in Etiopia, in un campo profughi. Ma la comunità di Sant'Egidio, responsabile del progetto insieme con la parrocchia di San Pietro e l'elemosiniere pontificio monsignor Konrad Krajewski, spera di portare a termine il ricongiungimento nel giro di poche settimane, forse già entro fine mese. Il figlio più piccolo è nato in Norvegia, dove la famiglia era arrivata, e da dove era stata trasferita in Italia per la Convenzione di Dublino (il testo che regola, a livello europeo, le richieste di asilo). Nello stesso appartamento, nell'area di via Gregorio VII, abita anche un'amica della donna, con il figlio piccolo. Aumenta così il numero dei migranti accolti in Vaticano.
Già da alcuni mesi la parrocchia di Sant'Anna ospita una famiglia di profughi siriani, composta dai genitori e da due figli. «Ogni parrocchia, cominciando dalla mia diocesi di Roma, accolga una famiglia di profughi». Con queste parole, lo scorso 6 settembre, il Santo Padre aveva stimolato la Chiesa di tutta Europa a mobilitarsi. Un appello che non ha tardato a tradursi in opere di solidarietà. Non solo a Roma, ma in tutta Italia. A Torino (un esempio, tra tanti possibili) su invito dell'arcivescovo monsignor Cesare Nosiglia, sono stati finora accolti 538 migranti. Intanto, nei giorni scorsi, il Pontefice ha lanciato nuovi accorati appelli a difesa della dignità umana. Durante il suo discorso di inizio anno con il corpo diplomatico, Francesco ha preso spunto dall'episodio biblico di Rachele che piange i suoi figli, per rivolgere lo sguardo all'attualità. «E’ la voce delle migliaia di persone che piangono in fuga da guerre orribili, da persecuzioni e violazioni dei diritti umani, o da instabilità politica o sociale, che rendono spesso impossibile la vita in patria». È il grido, ha aggiunto, «di quanti sono costretti a fuggire per evitare le barbarie indicibili praticate verso persone indifese, come i bambini e i disabili, o il martirio per la sola appartenenza religiosa».