Ermanno Paccagnini, docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea all'Università Cattolica di Brescia, giurato in premi letterari importanti come il Campiello, nonché critico letterario del Corriere della sera, accoglie la candidatura di Roberto Vecchioni al Nobel per la letteratura con una epressione lapidaria.
Anche se i nomi dei cantautori, Bob Dylan in testa, ricorrono da tempo tra i candidati.
«Mi sembra una boutade. Poi bisognerebbe chiedersi se la candidatura è per i suoi romanzi, sui quali non ho avuto difficoltà ad assegnare una tesi o per le canzoni. In un caso o nell'altro mi chiedo: siamo di fronte a letteratura da Nobel? Ha certamente scritto dei buoni romanzi, ma non direi da Nobel. Lo stesso mi pare valga per i testi delle canzoni».
Premesso questo amletico dubbio, la canzone d'autore può salire al rango di poesia o aveva ragione De André, nel dubbio meglio dirsi cantautori?
«In astratto qualsiasi testo, anche per musica, può avere una dignità letteraria più o meno elevata. Non dimentichiamo che noi normalmente leggiamo e studiamo in letteratura testi nati per la musica: si pensi alla lirica provenzale, o a certe opere di Metastasio. Poi la musica può aggiungere valore al testo, ma può anche toglierne se non è all'altezza».
Fin qui la dignità viene anche dal valore storico, può valere per i contemporanei o ha ragione Guccini quando, vedendo le sue canzoni nelle antologie, un po' ride un po' sbotta modestamente "che vergogna!"?
«Vale per ogni tempo, si pensi ai Brel e Brassens e anche a certi testi di Lauzi, è innegabile che abbiano un valore in sé, non vedo perché si debba negare a priori valore poetico a una canzone».
Però l'idea di Vecchioni candidato al Nobel non la convince?
«Ogni volta che si parla di Nobel appaiono le candidature più diverse, più strane, talora più bislacche. Questa certamente non è bislacca, ma strana sì».
Stupisce che si scelga un cantautore con tanti scrittori che ci sono?
«Lo stupore accompagna quasi sempre il Nobel per la letteratura: la logica non è quasi mai il premio allo scrittore più stimato e conosciuto al mondo, ma quello conosciuto e stimato dall'Accademia di Svezia, che magari si considera il mondo. Le logiche sono tante e diverse, a cominciare dal fatto che pesano le traduzioni: dubito che all'Accademia di Svezia si legga in originale opere lituane. A volte la stima viene da fattori molteplici: Dario Fo era conosciuto per il suo spirito libertario, significativo in Svezia se si pensa al fatto che là venivano accolti i disertori contrari alla guerra del Viet Nam. Borges è certamente uno dei maggiori che l'avrebbe meritato, ma ha pagato il sospetto di legami con la dittatura argentina».
Facciamo un gioco, come critico letterario chi suggerirebbe all'Accademia come candidato 2013?
«Non ci ho mai pensato, faccio fatica anche a ricordare se uno l'abbia avuto. Meglio di no»