Chiusi in casa, al sicuro dal virus, esposti maggiormente alle trappole della rete. Polizia postale e associazioni attente ai minori denunciano l’aumento del rischio di abusi online in tempo di quarantena. Un tema caldo oggi più che mai. «I ragazzi nella rete si comportano come se fossero nella loro cameretta da soli davanti a uno schermo. E invece è una grande piazza, frequentata anche da persone che non sempre hanno buone intenzioni. Devono capire che fanno parte di un sistema, il mondo digitale, dove passano anche contenuti molto tossici, come quelli violenti o pornografici»: a dirlo è un uomo che ha dedicato parte della sua vita alla cura dei più piccoli. Ernesto Caffo da oltre 40 anni attraversa infatti il mondo dei bambini e degli orchi, con gli strumenti della scienza (è ordinario di Psichiatria infantile e adolescenziale a Modena) e con la sensibilità di chi ha capito che «bisogna creare un sistema di accompagnamento dei ragazzi, stare dalla parte delle persone e fornire un’assistenza integrata, non solo una cornice normativa». Parole che in tempo di quarantena hanno significato anche dare «un ascolto attento e delle risposte concrete alle paure di bambini e adolescenti. La Linea di ascolto 1.96.96 e le Linea di emergenza 114 e 116000 hanno registrato un aumento delle segnalazioni e crescono i casi gestiti dagli operatori». Cosa si prova di fronte a un bambino violato, abusato, maltrattato? «Ti senti coinvolto, devi dare una risposta di aiuto. È il motivo per cui è nato Telefono azzurro». Alla soglia dei70 anni la determinazione è la stessa dei vent’anni, ma la consapevolezza è cresciuta a dismisura. E ogni discorso generale fa riferimento a un volto, un nome. Come l’ultima delle mille storie con cui si è confrontato, una ragazza africana che ha tentato due volte il suicidio: «Mi è stata presentata come caso psichiatrico e invece è il frutto di profonda sofferenza esistenziale. Dobbiamo dare risposte a questi casi». Per questo motivo ha fondato Telefono azzurro, nel 1987, ed è stato scelto per ricoprire numerosi incarichi, tra gli altri presidente della Foundation Child e membro del Consiglio dei direttori del Centro internazionale per i bambini scomparsi e sfruttati (Icmec). Dal 2018 papa Francesco l’ha chiamato nella Pontificia commissione per la tutela dei minori. Un incarico che assorbe gran parte del suo tempo: «Nessuno di noi, nella Commissione, era consapevole dell’enorme impegno che avrebbe avuto. Abbiamo capito la determinazione del Papa, che nasce da una conoscenza costante, dalle notizie che gli arrivano da tante parti del mondo».
DALLE PAROLE ALLE AZIONI
Caffo affronta questo delicato compito mettendo a servizio della Chiesa la sua competenza professionale, da laico credente. La sua storia spirituale, racconta con grande sobrietà, è fatta di incontri con alcune persone che lo hanno accompagnato nel cammino: «A Bologna padre Casali, domenicano, poi padre Toschi, un francescano impegnato in ambito sociale che mi ha coinvolto per l’Africa, quindi il cardinal Ruini per amicizie familiari. Adesso padre Federico Lombardi, con cui ho costruito rapporti profondi che mi hanno permesso di capire e di mettermi in gioco. E, nella Santa Sede, è un riferimento il segretario di Stato, il cardinale Parolin». Nella Commissione pontificia sui minori Caffoo fa parte del gruppo di lavoro che si preoccupa delle linee guida per le Conferenze episcopali, il gruppo che tra l’altro ha proposto al Papa di togliere il segreto pontificio sui reati di abuso. «Ora lavoriamo perché dalle dichiarazioni si passi ad azioni concrete. Molto è stato fatto, tantissimo resta da fare. Si fa una grande fatica. Ci sono Conferenze episcopali che sono in enorme sofferenza morale e anche economica, e altre che si reputano indenni e invece non lo sono affatto. Il nostro lavoro», spiega Caffo, «è cercare soluzioni nell’interesse delle vittime ma anche di una Chiesa che sta trovando una nuova capacità di parlare alle gente, perché trasparenza e affidabilità sono elementi di attrazione».
UN TEMA UNIVERSALE
L'altro filone che assorbe gran parte delle energie del professor Caffo è quello della lotta agli abusi in rete. «Telefono azzurro lavora con le polizie di tutto il mondo e con le grandi aziende e stakeholder del settore. Sono milioni e milioni le immagini di sfruttamento sessuale di bambini, anche molto piccoli. E ogni foto racconta una storia, dietro c’è una sofferenza reale, non virtuale. E c’è un mercato enorme di persone che si scambiano questo materiale». In una recente indagine Telefono azzurro ha voluto fotografare, in collaborazione con Doxa Kids, la percezione di genitori e insegnanti nel rapporto tra minori e utilizzo del web e dei social. Anche per i più piccoli, a causa della facilità di accesso al touch e della presenza di genitori spesso fisicamente accanto al bambino ma con la testa e il cuore allo schermo dello smartphone, «il mondo digitale è parte integrante della vita sin dalla tenerissima età». Accade in Africa come in Sudamerica, come nelle periferie della grandi metropoli: «Il che ci dà il senso della diffcoltà di distanziare il bambino da questi strumenti. Non bastano le regole, occorre una grande formazione, un’educazione che deve arrivare dagli adulti: ci sono una serie di potenziali conseguenze di cui i bambini spesso non si rendono conto e gli adulti, altrettanto spesso, non saprebbero come gestire». È il tema dell’identità digitale o della privacy, che ritorna nel decalogo che Telefono azzurro ha stilato per i ragazzi e per i genitori. Ai primi si raccomanda di non rendere pubblici con leggerezza i propri dati, di essere attenti a chi li contatta in rete, di allertarsi quando qualche estraneo chiede con insistenza di entrare in una chat di amici. Ai genitori si consiglia di «vincere la sensazione di non sentirsi all’altezza, delegando il controllo alla scuola, dove tra l’altro anche gli insegnanti si sentono impreparati». Il consiglio dell’esperto è di «continuare a mantenere con i ragazzi una costante relazione perché possano chiedere loro aiuto. Gli adulti non dovrebbero avere un atteggiamento di critica o di sottovalutazione del problema, che finirebbe con il creare il rifiuto da parte dei ragazzi a rispettare gli input dei genitori». Inoltre gli adulti a volte sono i primi a fare cose non corrette in rete o a stare sempre con lo smartphone in mano.
LA PERSONA AL CENTRO
Il consiglio è anche quello di non sottovalutare il problema della pornografia in rete. Se per chi ha superato gli “anta” le informazioni sul sesso sono passate anche attraverso del materiale pornografico cartaceo, «questo avveniva in una fase di sviluppo più avanzata, mentre adesso i bambini accedono ai siti pornografici, anche quotidianamente, già a 7-8 anni, se non prima», dice Caffo. Anche il fenomeno del sexting − lo scambio di materiale a sfondo sessuale tra coetanei, esponendo parti di se stessi, in situazioni improprie, di nudità, tramite foto o video − «è diffusissimo e gli adulti sono, di frequente, ignari». Per la lotta agli abusi in rete, un valido aiuto sono le soluzioni sviluppate dall’intelligenza artificiale, che già oggi «aiuta a bloccare immagini improprie e contribuisce nella ricerca dei bambini scomparsi». Anche nel mondo della tecnologia, conclude Caffo, l’obiettivo è «lavorare avendo la persona al centro. È un tema che unisce le diverse competenze, accademiche, religiose, gli interessi delle aziende e della società civile. Va tutto integrato. In uno sforzo coordinato per la tutela dei minori».
IL DIGITALE NELLE NOSTRE VITE
Al 42% dei genitori è capitato di parlare con i propri figli di bullismo, al 38% di cyberbullismo, al 22% di fake news, mentre a una percentuale minore è capitato di parlare di sexting (14%), ovvero lo scambio online di materiale a sfondo sessuale. Sono alcuni dei dati della ricerca Together for a better Internet di Telefono Azzurro & Doxa Kids 2020, che indaga la percezione di genitori e insegnanti nel rapporto fra minori e utilizzo del web e dei social. Sul sito di Telefono azzurro (www.azzurro.it) si trovano tutte le informazioni utili, compreso un decalogo per i genitori. Regola numero uno? Integrate il digitale nelle vostre vite: proibire l’utilizzo di Internet non è la soluzione migliore e sicuramente non è la più efficace.