Lo hanno pestato in tanti, urlandogli «negro di m...». E poi giù botte, calci e pugni. Fino a dover chiamare l’ambulanza per mandarlo in ospedale, dove è rimasto tre giorni nel reparto di chirurgia con un «trauma addominale chiuso e pelvico». È accaduto in una presunta giornata di festa, sabato 8 novembre, in Umbria, al termine della partita di calcio juniores (17-18 anni) Petrignano di Assisi-Terni Est.
L’aggressione è avvenuta sul campo del Petrignano, sotto gli occhi degli spettatori, tra cui la madre del ragazzo, che, terrorizzata, è scesa dagli spalti correndo in campo. La vittima è un diciottenne ecuadoriano, di carnagione olivastra, una vita normale tra scuola superiore, amici, famiglia e calcio. Nicodemo Gentile, l’avvocato che lo sta seguendo, ricostruisce così la dinamica dei fatti: «L’arbitro aveva appena fischiato la fine di una partita dai toni accesi, quando tra un suo compagno di squadra e un avversario è scattato uno scontro verbale. Il giovane ecuadoriano si è avvicinato per tranquillizzare gli animi e portare via l’amico, ma si è sentito dire: “Straniero, fatti gli affari tuoi, tornatene al tuo Paese”, in un crescendo di invettive razziste». Buttato a terra, sono scattate le botte, pare anche con la bandierina del guardalinee ternano.
«Assistere a quello che è accaduto è un’immagine che con il Calcio giocato non c’entra nulla.
Bisognerebbe ricominciare a vivere questo sport come un divertimento e non come lo sfogo di tutte le frustrazioni accumulate durante la settimana», hanno commentato i dirigenti del Petrignano. Dalla squadra avversaria, inizialmente nessuno è andato a trovarlo in ospedale; dopo che i media locali hanno denunciato l’assenza, è scattata invece la solidarietà. Anche Catiuscia Marini, presidente della regione Umbria, l’ha incontrato per esprimergli vicinanza.
Nell’episodio, se certo colpisce la violenza degli aggressori, non vanno sottovalutati gli insulti razzisti verso “il negro”. Oggi il giovane ecuadoriano non se la sente di parlare con i giornalisti. «All’inizio era sofferente e terrorizzato», racconta l’avvocato Gentile, «ora è particolarmente amareggiato. Hanno fatto più male le parole dei calci. Lo hanno ferito i tanti insulti razzisti: è un ragazzo in Italia da 13 anni, arrivato da piccolo e che ora parla dialetto umbro. A pieno titolo, sognava qui il suo futuro».
Al giovane del Petrignano è capitato il trattamento peggiore, ma è quello con cui devono lottare anche tanti altri “ragazzi in Italia da una vita” con origini straniere. Molti raccontano di essersi scoperti, un giorno, stranieri nel proprio Paese, in seguito a una frase razzista, una domanda indiscreta, o anche soltanto a seguito di uno sguardo diffidente da parte di uno sconosciuto. Spesso sono i tratti somatici, come la carnagione olivastra, che richiamano un’estraneità che in realtà non sussiste.
Nella foto di copertina: l'iniziativa della Nazionale di Prandelli che giocò una partita a Coverciano con una squadra di giovani stranieri. I ragazzi consegnarono simbolicamente agli azzurri una maglia con lo slogan "Espelli il razzismo dal calcio". Nella foto: uno dei giovani con El Shaarawi.