Si ricorda soprattutto il freddo di quel
giorno di 25 anni fa, mentre parlava
ai capi di tutte le religioni davanti al
Papa. Il cardinale Roger Etchegaray
fu, insieme a Karol Wojtyla, l’animatore e
l’inventore della memorabile giornata di Assisi
del 1986. Era presidente della Pontificia
commissione justitia et pax e a lui toccò aprire
l’assemblea: «Siamo qui insieme senza alcuna
traccia di sincretismo».
Eminenza, le critiche a Giovanni Paolo II
erano davvero così forti?
«C’erano grandi timori, anche nella Curia.
Si era concordato che si andava ad Assisi insieme
per pregare e non per fare una preghiera
comune. Per evitare di prestare il fianco
all’accusa di mescolanza delle diverse fedi».
Eppure si sa che proprio il cardinale Ratzinger
non era del tutto d’accordo...
«È vero e non venne ad Assisi. Wojtyla lasciò
liberi i cardinali di venire o no».
Adesso ha cambiato opinione?
«Nel 2002 Ratzinger andò ad Assisi quando
Giovanni Paolo II riconvocò i leader religiosi
dopo l’attentato alle Torri gemelle e tante
volte ha parlato dello “Spirito di Assisi” in
modo positivo. Non so se ha cambiato opinione.
Posso solo dire che quel giorno di 25
anni fa è irripetibile e non si può paragonare
la giornata di quest’anno con quella».
Ma Giovanni Paolo II era preoccupato delle
critiche?
«Certo. Aveva affidato a me di studiare la
formula e l’organizzazione. Lui voleva un gesto
audace e profetico. Secondo me si è fatto
di più. Assisi è stato un segno biblico
dell’amicizia tra Dio e i discendenti di Adamo.
Problemi ce ne sono stati e Giovanni
Paolo II spese quattro Angelus per spiegare
alla gente il significato della giornata».
Che cosa è cambiato dopo?
«Sul piano ecumenico, cioè del rapporto
tra le diverse fedi cristiane, poco o nulla, perché
l’ecumenismo era già ben avanzato. Piuttosto
Assisi è stato un balzo in avanti straordinario
verso le religioni non cristiane, soprattutto
orientali. Per la Chiesa fino ad allora
sembrava che vivessero su un altro pianeta».
E oggi il dialogo a che punto è?
«Siamo ancora all’inizio, ma ci dobbiamo
affrettare. L’immigrazione nei nostri Paesi di
più antica cristianità ci fa capire che il dialogo
interreligioso è indispensabile, ma non
basta organizzare qualche convegno. Bisogna
spiegare alla gente perché esistono altre
religioni e perché anche esse fanno parte del
piano di Dio. Ci sono immense questioni di
ordine teologico che cominciamo solo adesso
a esplorare».
Questo per evitare il sincretismo?
«Anche. Ad Assisi 25 anni fa ogni delegato
delle altre religioni si sentiva rispettato e accolto,
anche se sapeva bene che per la Chiesa
non tutte le religioni sono uguali. Per la dottrina
cattolica Cristo è l’unico salvatore di tutti
gli uomini. Questo pone problemi al dialogo.
Ma devono essere i teologi a risolverli».
E la domanda più urgente qual è?
«Perché Dio ha ancora a che fare con il
mondo. Assisi è una risposta: approfondire
la fede per renderla più forte. Dio sta nel
mondo, in questo mondo, di cui noi non dobbiamo
avere paura. Sappiamo che il Vangelo
sarà sempre un segno di contraddizione. Eppure
la Chiesa si ostina a predicare il Vangelo
dell’amore e della pace».
A che cosa è servito lo “Spirito di Assisi”?
«A capire che tutta l’umanità è una sola famiglia,
che non bisogna più giudicarci a vicenda
e che solo in questo modo gli uomini
di fede possono lavorare insieme per una pace
vera e duratura».
Giovanni Paolo II voleva fare di Assisi un
appuntamento fisso?
«Non credo. Era preoccupato piuttosto che
qualcuno continuasse a portare nel mondo
lo “Spirito di Assisi”. In questi anni lo ha fatto
la Comunità di Sant’Egidio, che ha interpretato
in modo straordinario il desiderio
del Papa, senza incorrere nel rischio del sincretismo.
Mai ho sentito una critica agli incontri
annuali di Sant’Egidio».
E lei, eminenza, cosa ha tratto da Assisi?
«Mi stupisco, ogni volta che ci penso,
dell’audacia di Giovanni Paolo II. Poi ne ho
tratto la convinzione che l’uomo, anche il
più perverso, ha nel fondo del cuore qualcosa
a cui aggrapparsi per cambiare vita. Ma bisogna
voler vedere l’appiglio e aiutarlo».
Lei ha compiuto tante missioni diplomatiche
per conto di Wojtyla, a volte missioni impossibili,
come quando è andato da Saddam
Hussein. L’ha aiutata Assisi?
«Sì, mi aiuta sempre la forza della preghiera.
Nel caso di Saddam c’erano spiragli, ma
tutto era già stato deciso altrove. Assisi, alla
fine, è stata la dimostrazione che si può insieme
pregare, conservando ciascuno la propria
identità. E che la preghiera è una cosa seria».