Che sia una dolorosa follia lo dimostrano, più che i dibattiti o le dichiarazioni spesso astratte e ideologiche, le storie concrete di tanti “figli della provetta”. Come quella di Emma Cressweel, una 26enne inglese concepita con la fecondazione eterologa che dopo una lunga battaglia giudiziaria lunga sei anni ha chiesto e ottenuto di poter cancellare dal proprio certificato di nascita il nome dell’uomo che lei credeva essere suo padre e che invece non lo era. Dopo un litigio in famiglia, Emma ha scoperto di essere nata grazie a un donatore di sperma. Sull’onda di vicende come questa la Gran Bretagna dal 2005 consente ai nati da eterologa di poter conoscere i propri genitori biologici e avere informazioni sui rischi di malattie genetiche ereditarie. Nel Regno Unito i concepiti col ricorso a gameti di donatori sono circa 70mila. Solo quelli nati dopo il 2005 hanno accesso alle informazioni riguardo le proprie origini biologiche.
Poi c’è la storia di Lauren Burns che ha Tv australiana ABC ha raccontato in due puntate speciali. Il papà di Lauren per anni non aveva né nome né volto ma una sigla: C11, il codice identificativo con cui era stato catalogato il donatore che aveva fornito il seme. Dopo quattro anni di lotta per scoprire chi fosse il padre che l’ha generata, Burns scopre di essere nipote del professore Manning Clark, scrittore con convinzioni indipendentiste assai famoso in Australia. C11, infatti, altri non è che Benedict Manning Clark, ultimo figlio del professore. Ora Lauren, che ha vissuto sulla sua pelle il dramma di non poter conoscere le proprie origini, si batte perché tutti i nati da eterologa possano avere queste informazioni: «Molte strutture», ha detto, «hanno fatto esclusivamente l’interesse degli adulti, essenzialmente coloro che ricorrevano al trattamento (della fecondazione eterologa, ndr), i donatori e i medici. I diritti dei bambini che sono nati, che erano le persone più vulnerabili di tutto il processo, non venivano considerati affatto». In Australia l’anonimato del donatore è stato abolito nel 2000 ma coloro che sono nati prima di questa data non possono conoscere i propri genitori biologici.
Analogamente agli adottati, infatti, anche i nati da eterologa, una volta adulti, desiderano conoscere la propria identità, da dove vengono, chi li ha generati. È un loro diritto saperlo. In molti Paesi dove questa pratica è consolidata la legge lo consente, in Italia i frettolosi estensori delle linee guida delle regioni hanno detto di no, scrivendo che «il nato non potrà conoscere l’identità del donatore». La stampa cattolica, ovviamente, ha protestato perché è evidente che viene leso un diritto sacrosanto del bambino.
Ora però le stesse critiche e perplessità arrivano anche dal mondo laico. In un’intervista all’Adnkronos il sessuologo veronese Vito Frugis ha spiegato che diverse coppie che hanno fatto ricorso all’eterologa all’estero e da lui prese in cura hanno avuto problemi di «depressione, calo del desiderio, problemi di sessualità, silenzi. In genere», ha spiegato, «le coppie che ho seguito sono entrate in crisi da 18 mesi a 5 anni dopo la fecondazione. Ma questi fantasmi hanno ombre lunghe, come mostra il caso di una coppia “esplosa” a 20 anni dalla nascita del bambino grazie al seme di un donatore. Penso sarebbe opportuno rivolgersi alla psicoterapia prima, per capire se un uomo e una donna hanno la capacità di affrontare questo percorso, senza tormenti e fantasmi che avvelenino il rapporto una volta arrivato il bebè».
Sul Fatto quotidiano del 10 settembre, il vaticanista Marco Politi con un editoriale dal titolo eloquente, “L’eterologa nasce da una finzione”, stigmatizza il ricorso alla fecondazione assistita esterna alla coppia. Scrive Politi: «In una coppia che attua la fecondazione omologa si ha veramente una “procreazione assistita”, poiché la tecnica elimina semplicemente un impedimento al loro naturale incontro. Non così nella fecondazione eterologa. Lì viene inserito nella coppia un terzo personaggio, che però non deve apparire e deve agire soltanto da fornitore di materiale genetico. È una possibilità tecnica. Questo la rende di per sé positiva? Le opinioni possono dividersi. Il principio di realtà certifica però, senza ombra di dubbio, che non nasce un figlio alla coppia: viene al mondo il figlio di un solo partner, il quale alla sua nascita ha un padre e una madre ignoti dai quali è separato alla radice. Non è cosa di poco conto».
Poi Politi critica il diritto, negato dalle pasticciate linee guida delle regioni che hanno evitato di affrontare questo nodo come se fosse un problemino di poco conto, di poter conoscere i propri genitori biologici: «Nel caso dell’eterologa, ad esempio, va garantito il diritto preminente del concepito di sapere sempre “da dove è nato”. Far dipendere questo diritto primario dal “mercato”, cioè dall’andamento della domanda e dell’offerta delle donazioni di ovociti e gameti (tolto l’anonimato, si dice, diminuiscono i donatori) appare semplicemente impensabile dal punto di vista dei diritti umani». Politi critica anche l’adozione di una bimba concessa dal Tribunale di Roma alla convivente della madre: «Non sta giuridicamente né in cielo né in terra», scrive. «La bimba ha una madre, non era in stato di abbandono o disagio sociale e nulla impediva il rapporto affettivo tra lei e la partner della madre».