Una protesta contro la Ue ad Atene, in Grecia (Reuters).
Quanto è diffusa l’ostilità all’euro, alla vigilia delle elezioni per l’Europarlamento? E quanto potrà influenzare il voto, questa ostilità? Paradossalmente, è difficile dirlo soprattutto in Italia, dove il sentimento antieuropeo è relativamente diffuso un po’ in tutti i partiti. Contro l’euro c’è la Lega Nord, nemico storico dell’Europa unita, che non a caso ha lanciato il “No Euro Tour”.
Non scherza neppure il M5S di Grillo e Casaleggio che propone questa alternativa: abolizione del Fiscal Compact o referendum (a giugno) per l’uscita dall’euro. Il Fiscal Compact (in realtà Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance dell’Unione Europea), firmato nel 2012 da tutti i Paesi allora aderenti alla Ue, è l’architrave della politica finanziaria europea, il Trattato che chiede ai Paesi membri l’obiettivo del pareggio di bilancio, dello 0,5% di deficit strutturale (cioè non legato a emergenze), l’obbligo di mantenere sotto il 3% il rapporto tra deficit e Pil, e l’obbligo a ridurre di 1/20esimo l’anno il rapporto tra debito e Pil per i Paesi che abbiano un rapporto tra debito e Pil superiore al 60% (l’Italia è arrivata al 134%). Abolire il Fiscal Compact senza spaccare in due l’Unione Europea (Paesi coi conti in ordine contro Paesi indebitati), sarebbe impossibile, quindi…
Le posizioni di Lega Nord e M5S sono le più radicali e compatte ma, come si diceva, non sono estranee a frange di altri partiti. All’estero il sentimento anti-euro è più localizzabile, perché spesso confinato in partiti specifici. In Francia la campagna contro l’euro, anzi, a favore dell’uscita dalla moneta unica europea tramite referendum, è uno dei cavalli di battaglia di Marine Le Pen, la leader del Fronte Nazionale, fresco trionfatore alle elezioni amministrative.
In Germania, Alternative fuer Deutschland (Alternativa per la Germania) si batte decisamente per l’uscita dall’euro, approfittando anche del fatto che la Corte Costituzionale ha abbassato la soglia di sbarramento per le elezioni europee al 3% (mantenendola invece al 5% per le politiche nazionali). In questo modo è assai probabile che AfD riesca a mandare all’Europarlamento qualcuno dei suoi.
Non bisogna dimenticare, peraltro, che dei 28 Paesi che attualmente formano l’Unione Europea, ben 10 ancora utilizzano le valute nazionali. Sei (Ungheria, Bulgaria, Croazia, Polonia, Repubblica Ceca e Romania) ma non le hanno ancora completate. Due, Gran Bretagna e Danimarca, hanno ottenuto una deroga rispetto al Trattato di Maastricht: non hanno obbligo di aderire alla moneta unica, se non per decisione autonoma dei propri Governi. Gli altri due Paesi che non usano l’euro sono Svezia e Lituania.
Gran Bretagna e Danimarca non hanno alcuna intenzione di aderire all’euro e, anzi, ospitano movimenti politici e d’opinione fortemente euroscettici. La Svezia ha votato nel 2003 in un referendum per rinunciare (con il 56,4% dei voti) alla moneta unica. Molti dei Paesi che dovrebbero entrare nell’euro, come Polonia e Croazia, hanno rallentato le procedure anche a causa della crisi economica.
Spagna e Portogallo fanno invece della penisola iberica un baluardo europeista. A parte qualche limitato movimento d’opinione, i partiti non prendono posizione contro l’euro. E anche i piccoli partiti nati dai movimenti di protesta anti-austerità, come X o Podemos in Spagna, criticano la Ue ma non si sognano di auspicare un’uscita dalla moneta unica.
In Grecia, Alexis Tsipras (in patria leader di Syriza e in Europa del Partito della Sinistra Europea), critica in modo deciso la Ue ma rifiuta l’ipotesi di uscire dall’euro. Ipotesi che invece piace molto a Dracma5Stelle, il partito fondato da Theodoros Katsanevas che, sulle orme di Grillo e della Le Pen, immagina un referendum che sancisca l’uscita dall’euro e il ritorno alla vecchia valuta.