18 Stati membri della Ue hanno negato accoglienza ai rifugiati siriani: tra questi Regno Unito e Italia
Un fallimento internazionale. Così Amnesty International definisce la gestione, o meglio la mancata gestione dell'emergenza dei rifugiati siriani da parte dell'Unione europea. Il documento "Un fallimento internazionale: la crisi dei rifugiati siriani", infatti, evidenzia come gli Stati membri della Ue abbiano dato la disponibilità ad accogliere 12 mila rifugiati siriani, lo 0,5 per cento dei 2 milioni 300 mila che hanno forzatamente lasciato il Paese.
"Il numero dei reinsediamenti previsti è davvero deplorevole", ha dichiarato Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International. "I leader europei dovrebbero abbassare la testa per la vergogna". Solo 10 Stati membri hanno offerto reinsediamento o ammissione umanitaria ai rifugiati siriani: la Germania si è impegnata ad accoglierne 10 mila, l'80 per cento del totale degli "ammessi in Europa", mentre la Francia ha offerto la propria disponibilità per 500 persone (0,02 per cento) e la Spagna per 30 (0,001 per cento). 18 Stati membri, invece, non hanno aperto le proprie porte: tra questi si annoverano Regno Unito e Italia.
Una veduta aerea del campo profughi di Zaatari, Giordania
Irresponsabilità umanitaria
La denuncia di Amnesty fa riflettere, anche alla luce di altre considerazioni. Dal 2011, il 97 per cento delle persone fuggite dalla Siria si è rifugiata nei cinque Paesi confinanti: Libano, Giordania, Turchia, Egitto e Irak. Basti pensare che in Libano, con una popolazione di circa 4 milioni di abitanti, ne sono stati accolti più di un milione. In Giordania, il campo profughi di Zaatari è diventato la quarta città del Paese, con circa 150 mila persone ospitate nelle tende.
Supefluo sottolineare, inoltre, quanto problematica possa essere stata ed essere tuttora l'accoglienza dei profughi in Paesi instabili come Egitto e Irak. E dovrebbe essere chiaro che la prossimità territoriale non può essere affatto una giustificazione: Nicosia a Cipro è la capitale europea più vicina a Damasco e dista solo 200 miglia. L'Europa non può voltarsi dall'altra parte facendo finta di niente, anche perché, di fronte a questa vera e propria chiusura umanitaria, in mancanza di alternative decine di migliaia di profughi siriani hanno comunque raggiunto l'Europa dopo viaggi via terra o mare che hanno messo a repentaglio la loro vita. Molti altri, invece, hanno pagato il prezzo più alto e non ce l'hanno fatta.
L'appello della Comunità di Sant'Egidio
Nel corso del 2013, per esempio, più di 10 mila rifugiati siriani sono approdati sulle coste italiane. Awad, 17enne di Damasco, si è salvato passando attraverso un oblò del barcone che stava affondando con 400 persone a bordo. Ha perso la madre e altri familiari, mentre vedeva persone aggrapparsi ai cadaveri per restare a galla e altre si contendevano l'unica ciambella di salvataggio a disposizione.
Eppure sono pochi i profughi siriani che sono riusciti a ottenere protezione dalle autorità italiane: solo 660 persone dal novembre 2012 a ottobre 2013. La Comunità di Sant'Egidio sottolinea che la chiusura dell'Europa non dipende affatto da una tanto paventata invasione: le richieste di asilo, dal 2001 al 2012, sono diminuite del 27 per cento passando da 450 mila a 330 mila. Ed è quasi paradossale constatare che i beneficiari siriani delle azioni di reinsediamento possono sperare di più dagli Stati Uniti che dall'Unione europea. Per esempio, alla richiesta di Malta di reinsediare parte dei profughi giunti sull'isola, dal 2008 al 2012 sono seguiti solo 596 trasferimenti nell'Europa continentale e più del doppio, invece, negli Usa.
In vista quindi del semestre italiano di presidenza dell'Unione nel 2014, la Comunità di Sant'Egidio rivolge un appello alle autorità nazionali e continentali affinché siano, finalmente, trovate risposte adeguate all'emergenza siriana. In particolare, si richiede che siano significativamente moltiplicate le offerte di resettlement per i profughi siriani, facendo proprio l'invito dell' UNHCR (Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite) ad ammettere in Europa dai campi profughi almeno 30 mila rifugiati.
E nell'ambito di un complessivo allentamento europeo delle maglie per i profughi, la Comunità si rivolge direttamente al Governo italiano, che ha fissato in 17 mila persone la quota ingressi per motivi di lavoro nel Decreto Flussi per il 2014, per integrare con un successivo decreto questo numero consentendo l'ingresso in Italia di quote significative di lavoratori stranieri provenienti da aree di crisi umanitaria.
Grecia e Bulgaria sono i principali punti d'ingresso in Europa per i profughi siriani
Grecia e Bulgaria, gravi violazioni dei diritti umani
A livello europeo, Amnesty International sottolinea anche il trattamento disumano e la violenta politica dei respingimenti nei due principali punti d'ingresso nella Ue per i rifugiati siriani: Grecia e Bulgaria.
La fredda logica dei numeri chiarisce al di fuori di ogni dubbio quale
sia la politica europea per affrontare l'emergenza: negli ultimi due
anni, la Commissione europea ha stanziato per la Grecia 228 milioni di euro per il rafforzamento dei controlli alla frontiera, ma solo 12 milioni sono arrivati al Paese ellenico dal Fondo europeo per i rifugiati per le attività di accoglienza.
Amnesty ha raccolto innumerevoli testimonianze che descrivono le
operazioni di respingimento della Guardia Costiera greca. "Hanno fatto
sdraiare tutte le persone a bordo", ha dichiarato per esempio un 32enne siriano, "ci hanno calpestato e picchiato con le loro armi per tre ore. Poi, verso le 10 di mattina, dopo aver rimesso in moto il motore, ci hanno fatto risalire sul gommone e lo hanno trainato fino alle acque turche, lasciandoci in mezzo al mare".
Le palesi violazioni dei diritti umani si susseguono anche in Bulgaria, dove nel 2013 si ritiene siano arrivati 5 mila rifugiati, la maggior parte dei quali ospitati in centri di emergenza che, di fatto, sono centri di detenzione a tutti gli effetti. Il principale si trova nella città di Harmanli: Amnesty ha potuto visitare la struttura e vi ha trovato container, edifici in rovina e tende, assenza di strutture medico-sanitarie adeguate, cibo e medicinali insufficienti, pochi posti letto.
"È deplorevole che chi rischia l'incolumità e la vita per arrivare qui
sia respinto o posto in stato di detenzione in condizioni realmente
squallide", ha concluso Salil Shetty. "Le parole dei leader europei
suonano banali di fronte alla realtà. L'Europa deve aprire i suoi confini, favorire ingressi sicuri e porre fine a queste gravi violazioni dei diritti umani".