Con sorrisi e flash dei fotografi, per Natale il cardinale Christoph Schönborn ha ricevuto il nuovo cancelliere austriaco, Sebastian Kurz, 31 anni. Negli stessi giorni l’arcivescovo di Vienna ha detto che bisogna evitare il «gioco primitivo» di dire che «tutti gli errori avvengono a Bruxelles e tutto il bene accade in Austria». Fair play e critiche. Kurz, leader del Partito popolare (Övp, centrodestra), ha appena formato un governo con il Partito della libertà austriaco (Fpö, estrema destra). Nazionalismo e xenofobia non sono un ricordo del passato, in Europa, e riescono ad andare al Governo.
La destra in realtà non cresce dappertutto né va identificata con il più ampio fenomeno del populismo. In Spagna, Portogallo e Irlanda, Paesi pur duramente colpiti dalla stagnazione, i risultati delle formazioni di destra sono trascurabili, così come in Slovenia o Romania. E anche quella che a inizio 2017 in altri Paesi sembrava un’irresistibile ascesa, in fin dei conti non lo è stata. La Brexit ha rappresentato nel Regno Unito il trionfo e, paradossalmente, l’inizio del declino dei nazionalisti dell’Ukip.
Ma, mentre il socialismo langue, si afferma una destra che trae forza da un misto di euroscetticismo, timore della globalizzazione, ostilità nei confronti del crescente numero di migranti provenienti dal mondo arabo e musulmano, il tutto esacerbato dalla crisi economica. In Olanda alle elezioni di marzo scorso il Partito per la libertà (Pvv) di Geert Wilders si è fermato al 13,1%, ma è comunque la seconda formazione; a maggio in Francia Marine Le Pen ha malamente perso il balloaggio contro Emmanuel Macron, ma per lei hanno votato oltre dieci milioni di francesi; in Belgio è dal 2014 che i nazionalisti fiamminghi dell’Alleanza neo-fiamminga (N-Va) sono al Governo. In Germania per la prima volta dal nazismo è entrato in Parlamento un partito sovranista con venature negazioniste, l’Alternative für Deutschland (Afd), che ha ottenuto a settembre il terzo posto con il 12,64% di voti e ben 94 deputati. Se nella Grecia mal sopportata da Bruxelles è emersa la formazione neofascista di Alba dorata, la crisi dei rifugiati ha favorito l’affermazione di formazioni xenofobe in Paesi tradizionalmente accoglienti come la Svezia (il Sverigedemokraterna è il terzo partito) o la Danimarca (il Dansk Folkeparti è il secondo partito).
In Germania i vescovi sono andati allo scontro con Afd, in Francia la conferenza episcopale è stata timida a criticare il Fronte nazionale ma certo non schierata con Le Pen, in Scandinavia è in prima fila a fianco dei migranti. Dal suo osservatorio privilegiato, il cardinale Schönborn ha denunciato il rischio che in seno alla Chiesa si ricrei un «muro di Berlino»: da una parte un cattolicesimo solidale, dall’altra un cristianesimo identitario. Quello dei Paesi di Visegrad: se la Repubblica ceca procede senza scossoni politici maggiori, in Slovacchia un elettore su cinque ha votato l’estrema destra del Partito nazionale slovacco, in Ungheria il premier Viktor Orban si contende il nazionalismo con il partito Jobbik, e il partito Giustizia e libertà è al potere in Polonia. I vescovi non di rado approvano, molti elettori di queste formazioni sono cattolici.