Sono le persone cui affidiamo il futuro: quello dei nostri figli in quanto famiglie, quello di noi in quanto membri di una società. Ma stando al rapporto Eurydice 2014 – non che non lo sapessimo da esperienza empiriche – non li trattiamo (e non li retribuiamo) in proporzione al peso specifico del loro ruolo. Sono gli insegnanti. Stando a uno studio di Eurydice, il termometro europeo in materia di scuola, con i contratti bloccati da tempo e gli scatti pure congelati, il potere d’acquisto degli stipendi degli insegnanti italiani, già non particolarmente elevato, in Italia risulta diminuito rispetto al 2009, un calo fino al 3% per gli insegnanti di scuola superiore, e pari al 5-10% per la media inferiore e la primaria.
Le cose vanno un po’ diversamente in metà dell’Europa dove, in 16 Paesi su 33, gli insegnanti hanno visto aumentare il loro stipendio. Nell’altra metà o poco meno va come in Italia (Belgio, Danimarca, Austria, Finlandia, Olanda, Portogallo, Regno Unito e Romania) o peggio: calo dal 13 al 17% (in Spagna, Irlanda e Slovenia) e drastica caduta del 40% in Grecia.
La progressione di carriera, finora legata all’anzianità, degli insegnanti italiani è lenta e con una forbice stretta tra fine e inizio carriera. Una situazione a metà strada tra il caso dei Paesi in cui gli scatti sono modesti ma frequenti e quelli in cui gli stipendi restano pressoché congelati fino alle fasi conclusive della carriera.
La relazione di Eurydice sottolinea il fatto che in molti Paesi, per quanto vi siano quasi ovunque progressioni di anzianità, gli incrementi sono anche collegati allo svolgimento di attività particolari: una sorta di premio di merito. Di qualcosa di simile si parla nel progetto della riforma scolastica allo studio.
Ma non sono pochi gli insegnanti preoccupati del fatto che, in un sistema Paese in cui raramente vince la trasparenza, il concetto di “merito” possa tradursi in una eccessiva discrezionalità affidata ai dirigenti. In una scuola, quella italiana, in cui vanno aumentando la burocrazia e la preoccupazione per i ricorsi contro esiti scolastici negativi – in cui si raccolgono storie di docenti che si sentono schiacciati tra le richieste di una “clientela” sempre meno disponibile alla fatica dell’apprendimento e la necessità dei dirigenti di strappare studenti alla concorrenza - sono spesso i docenti migliori a temere che si possa premiare, al posto del merito, “l’allineamento” burocratico, con il rischio di deprimere la libertà di insegnamento, la creatività e soprattuto quel tanto di sana severità che spesso gli alunni e le loro famiglie imparano ad apprezzare con gratitudine “da grandi” quando il tempo della scuola è finito.