logo san paolo
mercoledì 07 giugno 2023
 
fine vita
 

«La morte su richiesta è una sconfitta per tutti»

10/06/2022  I casi di Fabio Ridolfi e Mario che hanno chiesto il suicidio assistito rilancia il dibattito sull'eutanasia in Italia. Una proposta di legge è in Senato dopo l'approvazione della Camera. L'ex magistrato e giurista Giuseppe Anzani: «La visione globale di una vita che diventa un male, del desiderio di uscirne per non sopportare il dolore senza il conforto di un accompagnamento è una deriva scoraggiante»

Dal 2004, 5 giorni prima che compisse 28 anni, Fabio Ridolfi è allettato nella villetta dei genitori a Fermignano (Pesaro Urbino), alimentato e idratato con Peg, a causa di una tetraparesi per la rottura di un'arteria basilare. Da allora ha chiesto più volte al servizio sanitario regionale, affiancato dall'Associazione Luca Coscioni, di accedere al suicidio medicalmente assistito. La procedura però si è bloccata sulle modalità e sul farmaco da utilizzare, ritardi che lui definisce «inaccettabili» e che lo hanno indotto a scegliere la strada della «sedazione profonda con sospensione dei sostegni vitali». «Non ho paura. Non vedo l'ora di farlo», ha detto all’Ansa attraverso il puntatore oculare. L'iter è avviato, anche se i tempi ancora non si conoscono, e il percorso avverrà in due fasi: la sospensione dei sostegni vitali a casa e una sedazione blanda prima del trasferimento in hospice a Fossombrone, nel Pesarese, dove verrà sottoposto a sedazione profonda fino al decesso.

Un altro caso, sempre nelle Marche, riguarda quello di Mario, 44 anni, completamente paralizzato da 12 anni a causa di un incidente stradale. Nei mesi scorsi, con una decisione che ha fatto molto discutere, Mario ha ottenuto il via libera da tutti gli organi competenti in Italia per procedere all’eutanasia, in ottemperanza alla sentenza della Corte Costituzionale sul caso Dj Fabo-Cappato, ma lo Stato, denuncia l’associazione Luca Coscioni, non si fa carico delle spese: «Ha ottenuto l’ok all’eutanasia in Italia ma in assenza di una legge lo Stato italiano non si fa carico dei costi dell’assistenza al suicidio assistito. Non eroga il farmaco, non fornisce la strumentazione idonea, non fornisce il medico», spiegano Marco Cappato e Filomena Gallo, rispettivamente tesoriere e segretario nazionale dell'Associazione che ha lanciato una raccolta fondi per sostenere le spese sul Tiopental Sodico, il farmaco letale. «Per poter finalmente scegliere sulla propria vita, Mario deve sostenere una spesa di circa 5.000 euro in apparecchiature e farmaci. In particolare, c’è bisogno di uno strumento infusionale che costa 4.147,50 euro». L’Associazione Coscioni rimarca che «a oltre 2 anni e mezzo dalla sentenza della Corte costituzionale, in osservanza del giudicato costituzionale, il compito del Servizio sanitario nazionale si esaurisce con le verifiche delle condizioni e delle modalità e il parere del Comitato etico. Aziende sanitarie che rispondono, se rispondono, con tempi lunghissimi, ignorando la sofferenza di chi chiede di poter accedere al suicidio assistito legalmente in Italia» e puntano il dito contro il Parlamento che, scrivono, «potrebbe trovare una soluzione, ma il testo è insoddisfacente ed è insabbiato al Senato».

«Sono storie delicate che vanno trattate con prudenza», commenta l’ex magistrato e giurista Giuseppe Anzani, «provo grande dolore perché siamo di fronte alla vicenda drammatica di un uomo che soffre la cui conclusione, però, è negativa e sbagliata».

La manifestazione "Scegliamo la vita" contro aborto ed eutanasia del 21 maggio scorso a Roma (Ansa)

Le contraddizioni della proposta di legge

  

Le cronache di questi giorni, al di là dell’emozione, sottolinea Anzani, «segnalano uno scivolamento dell’opinione pubblica a questa morte su richiesta. Insistere, facendo quasi una graduatoria, sulla distinzione tra le modalità, con l’iniezione letale, rifiutando le cure salvavita o con una sedazione profonda, rientra in una visione globale della vita che diventa un male, del desiderio di uscirne per non sopportare il dolore senza il conforto di un accompagnamento. E questa è una sconfitta per tutti».

Le vicende di Fabio e Mario hanno rilanciato il dibattito sul testo di legge approvato nel marzo scorso a Montecitorio e in attesa al Senato. Gian Luigi Gigli, Ordinario di Neurologia presso Università degli Studi di Udine, sottolinea all’agenzia Sir alcune contraddizioni: «Il testo unico uscito dalla Camera prevede che il paziente debba essere tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale», spiega, «Questo, infatti, è quello che aveva chiesto la Corte costituzionale e questo è ciò che ha ribadito il legislatore. Il problema è anche a questo riguardo si rischia un pendio scivoloso. Infatti, anche in questo caso manca una definizione e sarà pertanto difficile precisare cosa debba intendersi per dipendenza dai sostegni vitali. Se non se ne chiarisce la definizione, anche una flebo di soluzione fisiologica potrebbe essere considerata quali sostegno vitale. Del resto, per la legge 219 del 2017, l’idratazione e nutrizione artificiale sono equiparate a sostegno vitale. È proprio sulla 219/017 (la legge su DAT e consenso informato) che è stato poggiato il quesito della Corte d’Appello di Milano relativo al caso del Dj Fabo. Ed è in risposta a questo quesito che la Corte costituzionale ha emesso la sentenza per sollecitare il Parlamento ad approvare una legge per depenalizzare, a certe condizioni, l’aiuto al suicidio. Se non si chiarisce cosa si intende per sostegni vitali, la platea dei suicidi assistiti rischia inevitabilmente di allargarsi. Se può essere compreso il dramma di chi vuole uccidersi», aggiunge, «perché non vede prospettive alla sua situazione di progressivo aggravamento, è molto meno condivisibile metter fine alla vita di qualcuno la cui vita non è in pericolo. Se poi ad “aiutare” il paziente a suicidarsi deve essere un medico, allora siamo allo stravolgimento della professione. Sono consapevole che è largamente diffusa una mentalità sembra rifiutare la vita in condizioni di dipendenza (come se non fossimo sempre dipendenti) e che a una vita in condizioni di disabilità preferisce la soluzione della “morte medicalmente assistita”, almeno finche riguarda gli altri. È grave però che il legislatore che si dimostri sensibile alle pressioni, adeguandosi alla mentalità corrente, senza rendersi conto delle ricadute. La nostra speranza è che si limitino i danni, evitando, per quanto possibile, una generalizzazione del diritto alla morte. Questo dovrebbe essere l’impegno di tutti i cristiani».

 
 
Pubblicità
Edicola San Paolo