Il vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca, mons. Vito Angiuli, 69 anni
«Un bambino non perde la sua dignità anche se è in tutto dipendente dalla cura dei genitori. Allo stesso modo, una persona gravemente malata conserva il suo inalienabile valore anche se impossibilitato ad agire. In questa prospettiva, “una società merita la qualifica di ‘civile’ se sviluppa gli anticorpi contro la cultura dello scarto; se riconosce il valore intangibile della vita umana; se la solidarietà è fattivamente praticata e salvaguardata come fondamento della convivenza”, come ricorda la Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede Samaritanus bonus del 14 luglio scorso».
Nel dibattito in corso sull’eutanasia con i Radicali impegnati nella raccolta delle firme per un referendum che la renda legale nel nostro Paese, interviene monsignor Vito Angiuli, vescovo della diocesi di Ugento – Santa Maria di Leuca, già presidente della Commissione episcopale della Cei per il laicato, che nei giorni scorsi ha inviato ai fedeli una lettera intitolata “L’eutanasia e i paradossi del principio di autodeterminazione”.
«I promotori dell’iniziativa referendaria», scrive mons. Angiuli, «in perfetta sintonia con lo “spirito del tempo”, si muovono in una visione antropologica sintetizzata dallo slogan: “Liberi fino alla fine”. L’idea fondamentale è la seguente: niente e nessuno deve poter limitare la libertà personale, soprattutto quando si tratta di questioni che toccano la propria persona e il proprio destino. L’io individuale non deve avere altra norma e altra regola se non la propria insindacabile decisione anche di fronte alla morte. Colonna portante di questa visione», prosegue, «è il “dogma laico”, ritenuto inamovibile e incontestabile, del diritto illimitato di ogni individuo a decidere del proprio destino rimuovendo ogni possibile vincolo etico e sociale. La libertà si pone in modo assoluto e si qualifica come “autodeterminazione estrema”. Nel “moderno giardino dell’Eden”», scrive citando Nietzsche, «vige la legge di andare “al di là del bene e del male”, ossia l’imperativo a superare ogni morale oggettiva in vista della trasmutazione di tutti i valori ad opera di una libertà dell’individuo che deve essere senza limiti e senza divieti non solo divini, ma anche umani».
Analoghe preoccupazioni a quelle di mons. Angiuli sulla campagna referendaria in corso sono state espresse da monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la vita, nel numero di Famiglia Cristiana in edicola questa settimana: «Con la raccolta di firme per il referendum sull'eutanasia», ha scritto Paglia, «ho timore che cresca l'assuefazione a una concezione “vitalistica” della vita: tutto ciò che non corrisponde a una certa condizione “vitale ed efficiente”, della salute non è degno. E può essere eliminato. Chi si trova in una condizione difficile può pensare che una vita così non sia degna».
Nella sua lettera, mons. Angiuli evidenzia «quattro paradossi in cui», sottolinea, «si incorre quando si passa dalla libertas all’arbitrium. Il primo paradosso si riferisce al fatto che la vita è intrinsecamente limitata nel suo inizio e nella sua fine. Essa scorre tra due estremi: la nascita e la morte. Vivere significa riconoscere il limite intrinseco al nascere e al morire. Accettare di vivere anche per un solo istante, significa implicitamente accettare la limitatezza della vita. Se il limite è parte integrante della vita, lo è necessariamente anche della libertà. Non esiste una libertà in astratto, ma solo in quanto legata alla nascita. Ora, se non si è liberi di nascere come si può essere liberi di morire? In realtà, si è solo liberi di vivere».
Il secondo paradosso, prosegue, «consiste nel fatto che l’eutanasia e il suicidio assistito sono presentati surrettiziamente come espressione di libertà. In realtà, sono solo una “fuga dalla vita e dalla libertà”. Con l’eutanasia e il suicidio assistito si spezza il filo che lega la libertà al suo cominciamento. In tal modo, questa estrema decisione diventa espressione di una forma radicale di protesta e di rivolta contro la vita che non è stata scelta e voluta, ma imposta da un atto precedente alla propria volontà. La vita stessa è, dunque, intesa come una sciagura da cui fuggire, non solo perché carica di dolore invincibile, ma soprattutto perché frutto di un’azione avvenuta senza il personale acconsentimento».
Il terzo paradosso «si riferisce al fatto che se il “suicidio assistito” deve essere consentito quando la malattia irreversibile riguarda il corpo, non si vede il motivo per il quale non dovrebbe essere praticato anche quando tocca la psiche. A rigor di logica, anche a chi ha perso il gusto della vita e “vive senza vivere” dovrebbe essere consentito quanto è permesso a chi è affetto da una malattia incurabile. Non si soffre di meno nell’anima, rispetto a quanto si soffre nel corpo. Si svela così la tragicità della “cultura di morte” che aleggia nel nostro tempo. Essa, come un’ombra oscura, spinge la vita in un abisso senza senso».
Infine, mons. Angiuli evidenzia il quarto paradosso che, scrive, «consiste nella palese contraddizione tra la libertà posta in modo assoluto in ambito individuale e la libertà che si esercita in modo condizionato in ambito sociale. Se si accetta l’idea che la libertà deve esprimersi in modo assoluto sul piano dei diritti individuali, non si vede il motivo per il quale la stessa cosa non debba valere anche per le norme, i limiti e i divieti imposti dalla società. A tutti dovrebbe essere consentito di vivere liberi da ogni imposizione esterna alla propria libertà di autodeterminazione. Il buon senso, però, intuisce che se la libertà si dovesse esprimere in modo assoluto anche in ambito sociale si aprirebbe la porta all’anarchia e alla dissoluzione di qualsiasi forma di società e si andrebbe incontro a un “suicidio sociale” non meno deleterio del “suicidio assistito”».
E conclude: «La Vergine Maria Assunta in cielo in anima e corpo ci insegni ad avere cura dei nostri fratelli ammalati, soprattutto di quelli affetti da gravi patologie, conforti tutti noi con la sua presenza materna e ci aiuti ad avere lo sguardo rivolto al cielo, dove Ella ci attende con amore di Madre».