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mercoledì 23 aprile 2025
 
il discorso
 

Eutanasia, nessuna svolta del Papa che ribadisce il no all'accanimento terapeutico

16/11/2017  Nel messaggio alla Pontifica Accademia per la Vita Francesco cita il Catechismo e ribadisce il no all’accanimento terapeutico: «È moralmente lecito rinunciare all'applicazione di mezzi terapeutici, o sospenderli, quando il loro impiego non corrisponde a quel criterio etico e umanistico della “proporzionalità delle cure”»

Qualche giornale laico ha parlato di «svolta del Papa». Molti partiti, dal Movimento 5 Stelle ai Radicali, chiedono una legge sull’eutanasia. Il tema è quello, spinoso, del fine vita e da papa Francesco non è arrivata nessun via libera o cambio di passo sull’eutanasia. In un messaggio inviato a mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, in occasione del convegno internazionale del World Medical Association appena apertosi in Vaticano, Francesco ha ribadito che la Chiesa dice no all’accanimento terapeutico che è cosa ben diversa dall’eutanasia.

È «moralmente lecito», ha detto il Papa, «rinunciare all'applicazione di mezzi terapeutici, o sospenderli, quando il loro impiego non corrisponde a quel criterio etico e umanistico che verrà in seguito definito “proporzionalità delle cure”». Il Catechismo della Chiesa Cattolica, nel capitolo dell’eutanasia, dice esattamente questo: «interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'accanimento terapeutico. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire».

Il Papa cita proprio questo passo del Catechismo affermando come questa differenza di prospettiva «restituisce umanità all’accompagnamento del morire, senza aprire giustificazioni alla soppressione del vivere. Vediamo bene, infatti, che non attivare mezzi sproporzionati o sospenderne l’uso, equivale a evitare l’accanimento terapeutico, cioè compiere un’azione che ha un significato etico completamente diverso dall’eutanasia, che rimane sempre illecita, in quanto si propone di interrompere la vita, procurando la morte». Davvero si fa a fatica a comprendere come si possano parlare di un via libera del Papa all’eutanasia.

Oggi, in particolare, osserva Francesco, «è più insidiosa la tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona». Serve pertanto «un supplemento di saggezza» per affrontare tali questioni. Bergoglio guarda ai passi avanti fatti dalla medicina e dalla scienza per dare una risposta alle domande che riguardano il fine vita e che oggi, annota, «assumono forme nuove per l’evoluzione delle conoscenze e degli strumenti tecnici resi disponibili dall’ingegno umano». «La medicina ha infatti sviluppato una sempre maggiore capacità terapeutica, che ha permesso di sconfiggere molte malattie, di migliorare la salute e prolungare il tempo della vita». E «oggi è anche possibile protrarre la vita in condizioni che in passato non si potevano neanche immaginare». Gli interventi sul corpo umano diventano «sempre più efficaci, ma non sempre sono risolutivi: possono sostenere funzioni biologiche divenute insufficienti, o addirittura sostituirle, ma questo non equivale a promuovere la salute».

Il «supplemento di saggezza» secondo Bergoglio è fondamentale e richiama le parole di Pio XII nel discorso rivolto 60 anni fa ad anestesisti e rianimatori: «Non c’è obbligo di impiegare sempre tutti i mezzi terapeutici potenzialmente disponibili e che, in casi ben determinati, è lecito astenersene», affermava Pacelli.

«La persona malata deve assumere le decisioni»

Non va dimenticato, ricorda il Papa, che nel percorso di cura e accompagnamento è la persona malata a rivestire «il ruolo principale», ad assumere le decisioni «se ne ha la competenza e la capacità», a «valutare i trattamenti che gli vengono proposti e giudicare sulla loro effettiva proporzionalità nella situazione concreta, rendendone doverosa la rinuncia qualora tale proporzionalità fosse riconosciuta mancante». Ovviamente tutto «in dialogo con i medici». Anche questa è un’ardua valutazione dell’attività medica: «La relazione terapeutica si fa sempre più frammentata e l’atto medico deve assumere molteplici mediazioni, richieste dal contesto tecnologico e organizzativo».

Senza trascurare il fatto che «questi processi valutativi sono sottoposti al condizionamento del crescente divario di opportunità, favorito dall’azione combinata della potenza tecnoscientifica e degli interessi economici». «Trattamenti progressivamente più sofisticati e costosi - annota Bergoglio - sono accessibili a fasce sempre più ristrette e privilegiate di persone e di popolazioni, ponendo serie domande sulla sostenibilità dei servizi sanitari».

«Una tendenza per così dire sistemica all’incremento dell’ineguaglianza terapeutica» che è «ben visibile a livello globale, soprattutto comparando i diversi continenti», e che è presente anche all’interno dei Paesi più ricchi «dove l’accesso alle cure rischia di dipendere più dalla disponibilità economica delle persone che dalle effettive esigenze di cura». 

«L’imperativo categorico è non abbandonare il malato»

  

Francesco inoltre richiama il fatto che va tenuto in evidenza il «comandamento supremo della prossimità responsabile». Anzi, «si potrebbe dire che l’imperativo categorico è quello di non abbandonare mai il malato». Mai, anche in quel momento in cui «l’angoscia della condizione che ci porta sulla soglia del limite umano supremo, e le scelte difficili che occorre assumere, ci espongono alla tentazione di sottrarci alla relazione». Invece no: «amore e vicinanza» sono necessari «più di ogni altra cosa», «riconoscendo il limite che tutti ci accumuna».

Ciascuno, è l'appello del Papa, «dia amore nel modo che gli è proprio: come padre o madre, figlio o figlia, fratello o sorella, medico o infermiere. Ma lo dia!», scrive Papa Francesco. «E se sappiamo che della malattia non possiamo sempre garantire la guarigione, della persona vivente possiamo e dobbiamo sempre prenderci cura: senza abbreviare noi stessi la sua vita, ma anche senza accanirci inutilmente contro la sua morte».

Infine, il Papa ha concluso richiamando la centralità della medicina palliativa che «riveste una grande importanza anche sul piano culturale, impegnandosi a combattere tutto ciò che rende il morire più angoscioso e sofferto, ossia il dolore e la solitudine», sottolinea il Papa. E chiede «pacatezza» per affrontare argomenti delicati come questi nelle società democratiche: vanno trattati «in modo serio e riflessivo, e ben disposti a trovare soluzioni – anche normative – il più possibile condivise».

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