Lo sguardo affettuoso di padre Matteo. I ragazzini del Congo desiderosi di imparare l’italiano. Suor Clelia, che l’ha abbracciata di slancio. La ragazza tossicodipendente ospite in studio. La saggezza di padre Maurizio Botta. Tutti questi volti, con le loro parole e le loro storie, “transitano” nel racconto di Eva Crosetta: è come se la nuova conduttrice di Sulla via di Damasco non riuscisse a parlare di sé, della propria fede, senza passare attraverso di loro. Per lei, dire “io” è prima di tutto dire “noi”: un noi carnale, a volte portatore di sofferenze, ma che, d’incontro in incontro, le ha cambiato la vita temprandole una fede che non disdegna di sporcarsi le mani.
Così, ogni sua parola finisce per inciampare immancabilmente in un ricordo o in un aneddoto. In fondo, è proprio questo il marchio che la conduttrice veneta sta imprimendo, dal 20 gennaio, al programma di Rai Due: una fede che si declina in nomi e cognomi. Alla quale poter dare del tu. Sotto la sua conduzione, ogni puntata di Sulla via di Damasco ruota infatti attorno a un interrogativo esistenziale, teologicamente impegnativo: da Dov’è Dio? a Come si può perdonare? A rispondere non sono però chiamati esperti o teologi, ma persone comuni che raccontano la propria esperienza.
Crosetta, da dove nasce questo cambio di prospettiva?
«I canali pullulano di esperti, mentre io vorrei rimettere al centro l’uomo, la persona. D’altronde è solo questa vicinanza, questo pathos in cui ci si può riconoscere, che ti permette di parlare anche a chi, magari, si sente lontano dalla Chiesa. Per esempio, nella puntata dedicata al tema Dov’è Dio? abbiamo avuto ospite una ragazza con un drammatico passato da tossicodipendente. Su suggerimento della mia collaboratrice testi, sono andata a conoscerla una settimana prima della trasmissione, nella comunità che l’ha accolta, a Trivigliano, in provincia di Frosinone. Abbiamo pranzato con lei, gli altri ragazzi e padre Matteo Tagliaferri (fondatore della Comunità in dialogo, ndr) , che ci ha spiegato i suoi principi: la cura dell’anima è fare sentire davvero amato il prossimo. Nient’altro. Infatti, quando è venuta in studio, la ragazza ha raccontato che, proprio nel momento in cui ha rischiato di morire, ha trovato l’amore di Dio nelle persone che l’hanno accolta».
Quali altri cambiamenti vorrebbe introdurre?
«Nell’ottica di rimettere al centro la persona, non le nascondo che mi piacerebbe raccogliere la testimonianza di credenti che lavorano nel mondo dello spettacolo e, perché no?, della politica. Per ora è solo un mio desiderio, ma credo che sarebbe interessante conoscere se e come la fede impatta nel lavoro di un politico, visto che dovrebbe essere al servizio del bene comune».
Immagino quindi che lei non sia tra coloro che rimprovera papa Francesco di occuparsi troppo di economia e politica…
«Viviamo su questo mondo. Cosa dovrebbe fare il Papa? Cosa dovremmo fare noi cristiani: rimanere confinati nelle chiese?».
“Sulla via di Damasco” si è convertito san Paolo. Cosa vuol dire, oggi, abbracciare la fede?
«Avere fede va ben al di là del trovare un proprio credo religioso. La conversione si declina nella famiglia, a scuola, sull’ambiente di lavoro, nel matrimonio: vuol dire avere una predisposizione d’animo diversa, evolvere in positivo e raccogliere la sfida (perché è una grossa sfida!) di seguire i dettami del Vangelo».
Dunque una fede che faccia la differenza nel quotidiano?
«Sì, personalmente è questo il mio approccio. Sono praticante, vado la domenica a Messa ma, come direbbero in veneto, non sono una basa banchi (bacia banchi, ndr). La preghiera è un aspetto indubbiamente fondamentale ma quello che mi seduce maggiormente dell’aspetto religioso è la consapevolezza di questo Dio che agisce nella storia. E non ho usato casualmente il verbo sedurre: se la fede è amore non può non avere una capacità attrattiva».
E a lei, cosa l’ha sedotta della fede cristiana?
«Il fatto che Dio si è fatto carne e ha voluto rendere l’uomo libero. È una certezza che mi dà speranza e mi consola: siamo attesi nell’eternità. Quello che viviamo è solo un tratto della strada che abbiamo davanti. E poi c’è tutto l’aspetto del perdono. Appena posso la domenica vado a seguire la Messa di padre Maurizio Botta (sacerdote della Congregazione dell’Oratorio di san Filippo Neri, ndr) che, proprio qualche giorno fa, diceva: “Pensate che per nostro Signore sia più difficile dire al paralitico ti perdono tutti i tuoi peccati o alzati e cammina?”».
È sempre stata vicina alla fede o, come san Paolo, è stata folgorata sulla via di Damasco?
«Ho ricevuto un’educazione cattolica: ho frequentato il catechismo e ricevuto tutti i sacramenti, ma nulla di particolarmente vivo e ardente. Così, come accade a molti, con l’adolescenza mi sono allontanata dalla Chiesa, finché non ho attraversato un periodo particolarmente difficile: mi sono riavvicinata, in cerca di un conforto, e casualmente feci la conoscenza di don Matteo Galloni. Era venuto ospite della trasmissione Apprescindere. Mi colpì molto e decisi di andare a Firenze per conoscere la realtà che aveva fondato: la Amli – Comunità amore e libertà, che si prende cura di bambini e genitori che vivono in zone disagiate. Quella stessa estate partii con loro per il Congo. Mi cambiò completamente la prospettiva».
In che modo?
«In Congo ho insegnato italiano a un gruppo di studenti: stavano lì, studiavano, in un posto senza acqua e senza luce. Di notte si sentivano spesso gli spari. Ricordo ancora il giorno in cui andai a visitare una comunità vicina: non mi ero nemmeno presentata e una suora, di nome Clelia, salì su una poltroncina (io sono molto alta!) per abbracciarmi! Mi disse: “Non ho bisogno di sapere chi sei, ti voglio bene per il semplice fatto che tu sei qui”. Un’altra cosa che mi è rimasta impressa è stato quando alcuni dei giovani cui insegnavo la lingua italiana hanno preso i voti. Domandai loro quali doni avessero ricevuto ed Eric mi rispose: “Mia sorella mi ha regalato della carta da lettere, mia madre mi ha donato un consiglio”. Lo disse con una tale solennità che mi sono emozionata. Mi sono chiesta quanto, noi occidentali, abbiamo perso nella nostra vita. Quanto siamo diventati brutti, allontanandoci da ciò che è più autentico? Mi sono riavvicinata alla Chiesa, dandomi da fare: Dio è nella storia ma ha bisogno anche di me per agire».