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lunedì 09 settembre 2024
 
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Più che Mosè, sembra il re Artù

14/01/2015  Il 15 gennaio esce "Exodus", il film di Ridley Scott dedicato al grande personaggio biblico: un racconto di forte impatto visivo ed emotivo, che per diversi aspetti, però, sembra la continuazione del "Gladiatore" e in cui il patriarca della fede si trasforma in un generale. Con qualche intuizione geniale, come il Dio-bambino che si rivela nel roveto ardente. Il giudizio di Famiglia Cristiana.

Dalla sala da cinema si esce un po’ storditi. Non perché si è assistito a un film di sublime profondità. Ma perché sullo schermo sono passate immagini di grande impatto visivo e di forte carica emotiva. La proiezione in 3D dilata l’imprevedibile e la sorpresa, anche se la storia raccontata è conosciuta da millenni. Ma non poteva che essere così per Ridley Scott. Exodus – Dei e Re, suo ultimo film, ha la sintassi ancora più invasiva e barocca de Il gladiatore e, per certi versi, ne sembra la continuazione.

Eppure Exodus è la trasposizione cinematografica di una pagina tra le più sacre della Sacra Scrittura, centrale per l’esperienza di fede sia ebraica che cristiana. Il racconto biblico, per quanto ricostruito nella sua apparente antichità, è stato sottoposto dall’autore ad una attualizzazione per le esigenze del suo tempo e in funzione della sua visione di Dio e dell’uomo. Sarà per questo motivo che l’Esodo è diventato, per credenti e non credenti, un’epopea, l’immagine più pregnante di ogni cammino che l’umanità deve affrontare per passare dalla condizione di schiavitù – qualunque essa sia - ad una di liberazione.

Dal punto di vista dei contenuti letterari, l’Esodo della Bibbia ha lo stesso valore del lungo viaggio descritto nell’Odissea. E’ il racconto mitico dove si concentrano le speranze di futuro per ogni uomo che va alla ricerca della propria identità, della vera patria. Mosè ed Odisseo si somigliano. Tutti e due i personaggi evidenziano, o nella crudele immensità del mare o nelle assetate aridità del deserto, la presenza dell’infinito e del mistero e di uno spiccato senso della fragilità umana. Comunque una dimensione spirituale irrinunciabile. Dio si avvicina all’uomo.

Fin dall’inizio del film, si capisce che Ridley Scott vuole fare una ri-lettura del tutto personale della pagina che la Bibbia gli offre, dove tuttavia non mancano gli aspetti drammatici, spettacolari, imprevedibili e fantastici tipici di ogni epopea e congeniali al suo modo di fare cinema. Ma egli fa una doppia capriola all’indietro, per inventarsene altri: la battaglia di Qadesh, doppiata in italiano in Qades; la “salomonica” sentenza per scoprire l’identità di Miriam, sorella di Mosè; la replica di una “strage degli innocenti” per catturare Mosè; la celebrazione del matrimonio con Zìppora, e così via… 

E mentre enfatizza, aiutato da una straordinaria e splendida tecnologia digitale, la scorza narrativa della storia, si prende la licenza di uccidere il mistero. Il suo Mosè è un avatar del Mosè biblico. E’ il re Artù, che fa “miracoli” con la sua invincibile spada Excalibur. Il suo Dio dice: “Mi serve un generale”, non un liberatore-guida cui affidare il popolo. E Mosè diventa un militare che addestra gli ebrei al terrorismo.

Non sono le imprecisioni storiche, la falsità sulle tecnologie antiche oppure gli errori di scenografia o di casting a suscitare la critica.
Nemmeno il distacco dai contenuti oggettivi del racconto costituiscono un problema serio. A questi “diversivi” si appuntano i numerosi siti della rete specializzati nella ricerca degli “errori” fatti nei film, oppure le assurde censure di chi vuol proibire la visione del film, perché non vero. Anche l’Esodo fa a meno delle precisioni e delle evidenze storiche. Per l’autore antico il concetto di storia non è uguale a quello che possediamo noi oggi.

L’aspetto decisivo nella valutazione di un film che si ispira a un libro sacro è se il regista è capace di rileggere con creatività i contenuti della pagina sacra
e di produrre sensi nuovi e fecondi utilizzando lo specifico linguaggio cinematografico. Per lunghi tratti Exodus è l’evaporizzazione dei silenzi “divini”. E’ il trionfo dei “pieni” estranianti dell’audio digitale umano. Ma anche Ridley Scott sa che Dio ha bisogno di un vuoto per rivelarsi. Il “vuoto” creato è quello dell’apparizione a Mosè di un Dio bambino nel roveto ardente, un’invenzione cinematografica straordinariamente ardita, vista per la prima volta nella storia del cinema, capace da sola di rimescolare le carte di un film, che sembrava già compromesso.

Di fronte al Dio bambino non sta un Mosè tradizionalmente inchinato in adorazione, ma un Mosè murato vivo dentro una valanga di fango nero, che gli lascia fuori solo il volto. E’ catturato e tenuto immobile da questo Dio bambino, che gli si rivela (“Io sono”) e al quale non può opporre la minima resistenza. Può muovere solo le labbra.
La scena, virata verso il colore blu e nero, è di grande fascino onirico e interpreta, d’ora in avanti, la vita di Mosè come forzata, senza scampo, a questo Dio. Il Dio bambino si ripresenta a Mosè diverse volte, sempre nei colori innaturali, per ricordargli e discutere con lui la missione. L’ultima volta il Dio bambino compare in mezzo al popolo ebreo in cammino, per scomparire definitivamente allo sguardo di Mosè.

Sorprendentemente in linea con l’esegesi più corrente sono le interpretazioni che Ridley Scott delle dieci piaghe che colpiscono l’Egitto e del passaggio del Mar Rosso
(sarebbe stato più preciso chiamarlo Mar delle Canne, come dice il testo biblico). Le piaghe sono raccontate non come fenomeni soprannaturali, ma come eventi collegati gli uni agli altri che rientrano nella natura delle cose. Il Mar delle Canne può lasciar passare il popolo in fuga, perché durante la notte un vento forte da Est provoca la bassa marea. Le acque del mare che tornano poi a riversarsi sull’esercito del Faraone uccidendo cavalli e cavalieri diventano un pauroso tsunami, i cui effetti devastanti sono ricreati al computer. Una versione dello stesso fatto è raccontato dalla Bibbia in modo più realistico: i pesanti carri da guerra egiziani avevano difficoltà ad avanzare sul fondo bagnato e furono sommersi dal ritorno dell’alta marea.

Exodus
dimentica la Pasqua. O meglio, ne ricorda solo un pezzo un po’ frettolosamente: il sangue degli agnelli cosparso sugli architravi delle case ebree. Peccato. Poteva essere per Ridley Scott un’altra occasione nella quale, azzerando gli effetti digitali, creare un altro “vuoto” da riempire con la presenza misteriosa di Dio. 

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