Federica Federici, la guida del padiglione della Santa Sede all'Expo
Silenzio, per forza. Viene quasi spontaneo quando si entra nel
padiglione vaticano all'Expo, quasi a metà del Decumano, stretto tra
gli altri padiglioni più attraenti e colorati. È il più piccolo di
tutti: 360 metri quadrati. L'ingresso è semplice, quasi spoglio. «È
come entrare in una piccola grotta o in una tenda», dice Federica
Federici, la guida ufficiale, che non riesce a togliersi dalla mente
l'immagine di quel ragazzino («avrà avuto 12 o 14 anni») che non
staccava più gli occhi dal video che sulla parete di destra mostra
il dramma dei profughi del Kurdistan. «È come se in quei ragazzi
poveri e affamati», dice, «avesse rivisto volti
familiari».
Non si può parlare di cibo, e del cibo negato si
capisce, senza avere la «coscienza dei volti», come ha detto papa
Francesco. Ecco perché il padiglione vaticano è quasi un
supplemento d'anima in quest'Expo variopinto, un po' festa di popolo
e un po' “eventificio” con spruzzate, anche stucchevoli, di
retorica.
All'esterno, sulle pareti bianche e gialle, campeggiano due
scritte tradotte in tredici lingue: “Non di solo pane” e “Dacci
oggi il nostro pane”. Provocazione, la prima. Invocazione, la
seconda. Entrambe, a ricordare il marchio
di fabbrica del Cristianesimo: ossia il suo concreto, genuino
materialismo che lo differenzia da certi misticismi oggi tanto di
moda e da molte pacchiane superstizioni spiritualeggianti. Non a caso, le prime due opere di misericordia corporale prevedono il «dar da
mangiare agli affamati e da bere agli assetati».
Un gruppo di studenti visita il padiglione. Sulla parete di fronte, l'Ultima Cena di Tintoretto
«Arrivano molte
scolaresche», spiega la guida, «dai bambini a giovani e
adolescenti. Apprezzano la riflessione fuori dagli schemi sul cibo,
escono contenti. Un po' inquieti, forse». E appena alzano gli occhi
verso la parete di fronte la domanda è sempre la stessa: «Ma è
vero?». Si riferiscono all'Ultima Cena di Tintoretto, anno 1561,
arrivata in prestito dalla Chiesa veneziana di San Trovaso.
«Verissima», risponde Federica con un sorriso. E inizia a spiegare:
«Qui l'artista rappresenta il momento drammatico in cui Gesù
annuncia l'imminente tradimento agli apostoli». Sui loro volti,
s'indovina un'aria tra disperazione e incredulità. Se il cibo è
anche dimensione simbolica, non si poteva scegliere “manifesto”
migliore di questo Tintoretto per dirlo. «La scena è ambientata in
una casa borghese del Cinquecento», prosegue la guida, «si respira
un'aria di inclusione, di familiarità e c'è un senso di dinamismo tra gli apostoli e Gesù».
Ma
andiamo per ordine. Appena entrati, sulla parete di sinistra, va in
scena il dramma del cibo negato, da cui prendono le mosse le
migrazioni di massa, le guerre, l'esodo dei profughi. «Sono 177
fotografie d'autore», prosegue Federica, «che rappresentano i
problemi legati ai conflitti e alle disuguaglianze globali». Le
ultime foto sono dedicate alla de-creazione, termine ostico che la
guida racconta così: «Decreazione», sorride, «è sinonimo di
distruzione, ciò che Dio ha creato viene distrutto da calamità
naturali ma anche dalle guerre che insanguinano tante parti del globo
per odio e cupidigia».
La parete fotografica del "cibo negato" all'interno del padiglione
In mezzo alle foto,
fanno capolino alcuni vetri colorati, simbolo dei cinque continenti e
richiamo alle cattedrali gotiche che adornano l'Europa. «Quando il
Papa l'ha saputo», rivela Federica, «ha detto che quei vetri
rappresentano le ferite del pianeta e quelle del cuore».
Sulla destra, ecco una
tavola di legno con una superficie multimediale. Basta avvicinarsi
perché si animi e compaiano delle mani che lavorano, spezzano il pane,
soccorrono. «È lungo 11 metri e rappresenta la dimensione
quotidiana della vita», spiega la guida, «il tavolo del lavoro, in
ufficio, quella della mensa, in casa, e dell'eucarestia, in chiesa.
Rimandano simbolicamente alle mani di chi vede le necessità e
concretamente dà un aiuto».
Siamo in prossimità
dell'uscita. C'è un viavai continuo ma ordinato. Sulla parete di
fronte rispetto a quella del “cibo negato” vengono proiettati alcuni video: le
parole sferzanti del Papa e tre progetti concreti di carità portati avanti dalla Chiesa: l'aiuto
ai profughi del Kurdistan, i pozzi d'acqua in costruzione in Burkina
Faso, il banco alimentare in Ecuador. «Sono la risposte, nel segno
della carità e della condivisione, ai drammi e alle ferite presentate
nella parete di fronte», dice Federica.
Nel padiglione non
arrivano solo cattolici. «Sono benvenuti tutti», spiega la guida,
«è la nostra missione, in fondo. Molti quando vanno via ci
ringraziano e dicono che tutti i padiglioni dovrebbero essere così».
Federica ha un sogno: «Poter accogliere e spiegare il percorso del
padiglione a papa Francesco». Poi abbozza un sorriso: «Ma è
scontato, non lo scriva. Chi non vorrebbe abbracciare il Papa?».