La conferenza stampa a Cascina Triulza su un primo bilancio di Expo 2015 di mercoledì 13 maggio. Da sinistra: il presidente di Cascina Triulza Sergio Silvotti, il governatore della Lombardia Roberto Maroni, l'ad di Expo Giuseppe Sala e il sindaco di Milano Giuliano Pisapia.
Per tuffarci dentro Expo 2015 proviamo a dilatare i tradizionali “quatter pass” in Galleria (peraltro meravigliosamente restaurata) sul Decumano, il viale di un chilometro e mezzo (ispirato all’accampamento romano) che attraversa l’Esposizione universale di Milano da Oriente a Occidente. A poco più di dieci giorni dalla sua inaugurazione l’hanno già percorso un milione di visitatori e si può dire che buona parte della scommessa, a dispetto di ritardi, opere incompiute, polemiche, gusti e disgusti e inevitabili critiche, sia stata vinta.
La prima sorpresa è il Padiglione Zero, la porta dell’Expo, con le sue dodici sale realizzate da Michele De Lucchi e trasformate in racconto visivo del rapporto millenario tra uomo e cibo da Giancarlo Basili. Una delle meraviglie dell’esposizione è l’immensa libreria in legno, ricca di cassetti simboleggianti la memoria da preservare. Poco distante da noi, una guida di un gruppo di turisti genovesi spiega che è ispirata a sant’Agostino: il passato come memoria, il futuro come attesa e il presente come visione. Ma è stupefacente anche il retro della libreria: un immenso schermo su cui è proiettato un cortometraggio di Mario Martone sulle quattro arti della caccia, della pesca, dell’allevamento e naturalmente dell’agricoltura. Con questo bagaglio emotivo nella testa e nel cuore il visitatore si affaccia sul Decumano: il colpo d’occhio è davvero splendido, soprattutto al tramonto, quando una tenue luce rosea si mescola alle luci dei padiglioni che lo costeggiano. Tra l’altro se si entra alle 19 (e si ha tempo fino alle 23 per un’indimenticabile passeggiata) il biglietto d’ingresso costa solo cinque euro contro i 32 del prezzo pieno.
Ad Expo un caffé al bancone di un bar arriva a costare 1,50 euro.
Ad accoglierci, proprio all’inizio del Decumano, c’è una bellissima riproduzione della Madonnina di Milano in scala reale:
è la sorpresa del Padiglione della Veneranda Fabbrica del Duomo. A noi
capita di imbatterci in un concerto del coro di voci bianche della
Cappella del Duomo e alla distribuzione di un centinaio di pagnotte. La
distribuzione del pane, spiega l’arciprete del Duomo monsignor
Gianantonio Borgonovo, «serve ad alimentare la nostra speranza». C’è un
percorso spirituale dentro Expo, ed è forse la novità assoluta, nella
storia delle esposizioni universali di tutti i tempi, di questa kermesse
dedicata al «cibo energia per la vita. Mai prima di allora la Chiesa
era stata così presente dentro un’esposizione. A pochi metri dal
Padiglione della Fabbrica del Duomo, ecco l’edicola della Caritas,
essenziale e simbolica. Reinterpretando il tema di Expo “nutrire il
pianeta” e ispirandosi al miracolo della moltiplicazione dei pani e dei
pesci, ha lanciato un piano per il recupero del cibo che non viene
consumato nei padiglioni.
A metà del viale, poco dopo la Casetta dei Salesiani di don Bosco,
(che si fa notare proprio per la semplicità), dentro lo sfarzo degli
altri spazi espositivi, ecco spuntare il Padiglione del Vaticano:
essenziale nelle sue linee architettoniche. Dentro c’è un dipinto di
Tintoretto, l’Ultima cena, che vale da solo il biglietto, come ha
sottolineato anche lo chef Massimo Bottura. Il team leader del
padiglione Paolo Pirotta spiega ai visitatori i dettagli di questo
capolavoro, trasferito dalla chiesa veneziana di San Trovaso: «Vede quel
ragazzo accanto alla tavola? È molto probabilmente il ritratto di uno
dei figli del Tintoretto». Il percorso, dopo una mostra alle pareti su
«conflitti, disequilibrio e devastazione del Pianeta», prevede un tavolo
interattivo supertecnologico, simbolo della condivisione: «Abbiamo
calcolato otto minuti di visita: l’essenziale per uscire da qui con
una nuova consapevolezza». Continuiamo la visita, dopo essere entrati
incuriositi nel Padiglione della Thailandia (tra filmati
propagandistici, tra cui uno celebrativo sul re contadino Bhumibol
Adulyadej), ed eccoci all’incrocio del Decumano con il Cardo, dove sorge
l’Albero della Vita. Un po’ pretenzioso, con tutto il rispetto per
il suo ideatore Marco Balich, nonostante la simbologia cosmica e
biblica. Doveva essere il luogo della meraviglia, ma è poco più di
un’attrazione da parco giochi. O almeno se pensiamo che il simbolo
dell’Esposizione universale di Parigi del 1889, è stata la Tour
Eiffel...
Il coro delle voci bianche del Duomo di Milano in concerto al padiglione della Veneranda fabbrica del Duomo.
A poca distanza dall’Albero (più bello di notte che di giorno, con i
suoi effetti cromatici) sorge la cattedrale di Expo, Palazzo Italia,
splendida nelle sue forme architettoniche. L’interno, curato da Balich, è
ancor più sorprendente, con i suoi schermi a trecentosessanta gradi
(effetto ciclorama) e quel pavimento fatto di specchi che riflettono
noi stessi dentro le bellezze artistiche italiane. Quando ne esci, è
come se avessi fatto un bagno di consapevolezza sulle qualità del nostro
Paese, grazie al Viaggio in Italia, la mostra allestita da Giuseppe de
Rita e Aldo Bonomi. Ma c’è spazio anche per le brutture d’Italia e i
grandi disastri, dalla terra dei fuochi al Bisagno che straripa e allaga
Genova.
Entriamo nel grande Padiglione russo, un gigantesco bar dove barman e
hostess bionde e gentili offrono salatini e analcolici: la Russia come
“apericena” non l’avevamo considerata. La superpotenza statunitense ha
fatto ancora peggio: sette filmati e stop. Una delle attrazioni è il
Padiglione del Brasile: ma è inavvicinabile per la lunga fila delle
comitive degli studenti che vogliono saltare sull’enorme rete elastica
dispiegata su panorami arditi. Ah, dimenticavamo, a Expo c’è anche da
mangiare e quel che c’è è quasi sempre molto salato, non nel senso del
gusto ma nel senso dei prezzi. Focacce da due euro vendute a cinque,
bottigliette d’acqua minerale a due euro etc.. Al tedesco un antipasto e
una bottiglia vengono 25 euro (scontrino conservato). Viene quasi la
tentazione di fare un affronto: portarsi la colazione al sacco.