Mia figlia di 15 anni ha una vita ricca e anche a scuola va bene, anche se potrebbe fare molto di più. Nell’ultimo anno è diventata attivissima nei social, dove produce brevi video degli eventi sociali a cui partecipa. Ha cominciato ad avere un certo seguito, diventando, nel suo piccolo, un’influencer.
Non le dico la preoccupazione che vivo io, anche se pubblica video di buon gusto, rispettosi e mai esagerati. Da alcuni mesi riceve pacchi da aziende che le offrono prodotti con cui girare stories. Inoltre, pubblicizza marchi con codici sconto. Mi chiedo se è legale utilizzare dei minori a fini promozionali. In fin dei conti si tratta di lavoro, o mi sbaglio? E poi mi chiedo che impatto può avere questo genere di esperienza su mia figlia.
Mi sembra che a volte la scuola diventi un pensiero secondario rispetto a tutto quello che vuole far accadere sul suo profilo social. Inoltre vedendola controllare ogni giorno il numero di followers e chi la segue nelle stories, mi domando se questa aspirazione alla popolarità sia una cosa sana per una ragazza così giovane.
LISETTA
La risposta di Alberto Pellai
– Cara Lisetta, quello che scrivi è molto vero. I social frequentati dai nostri figli spesso li trasformano in protagonisti di un mercato occulto, di cui loro sono pedine più o meno consapevoli. Chi ha tanti followers, comincia a ricevere richieste di sponsorizzazione e doni a casa che lo obbligano a diventare un testimonial per questo o quel marchio.
Così ragazzi e ragazze diventano pedine di un meccanismo di cui colgono solo l’aspetto piacevole senza rendersi conto di quanta manipolazione e sfruttamento ci sia in tutto ciò. Come per molti altri aspetti del Web, non esistono regole né leggi a tutela dei minori.
Tutto avviene in una sorta di accettazione silenziosa perché non si saprebbe nemmeno a quale riferimento giuridico appellarsi. Se un’azienda ha sede legale a Hong Kong e ti chiede di diventare un suo ambasciatore in Italia, valgono le regole di ingaggio e protezione del lavoro minorile di Hong Kong o dell’Italia? Oltre alla questione legale c’è poi quella relativa alla ricerca di popolarità e successo, che i social garantiscono a pochi in modo duraturo e a molti in modo effimero.
Questo sistema insegna che il successo è tutto. Mentre spesso è una trappola. Mauro Repetto lo racconta in modo magistrale nel libro Non ho ucciso l’Uomo Ragno (Mondadori). Lui era nel duo degli 883. Ma si è ritirato perché quel successo così pervasivo e intrusivo lo allontanava dai suoi veri obiettivi. Una lezione che potrebbe servire ai nostri figli social, così affascinati dalla popolarità istantanea.