Il generale Fabio Mini, quando ancora indossava la divisa.
"Zero". Secondo il generale Fabio Mini è questo il livello di minaccia rappresentato oggi dalla Libia per gli interessi e la sicurezza dell'Italia. Una tesi senz'altro controcorrente in un momento in cui la Libia viene descritta come un pericoloso focolaio di guerra a poche miglia marittime dall'Italia.
Fabio Mini, 73 anni, generale di corpo d'armata, è stato capo di Stato maggiore del Comando Nato per il Sud Europa e, fra il 2002 e il 2003, ha comandato le operazioni della missione Kfor, operata dalla Nato in Kosovo. Ora è un commentatore di questioni di strategia militare e di geopolitica.
- Generale Mini, perché la Libia non sarebbe un pericolo per l'Italia?
“Perché oggi in Libia non c'è nessuno che abbia la volontà di colpire l'Italia. Non vedo nessuno capace di arrivare in Italia e superare i controlli e le misure di sicurezza messe in atto dal nostro Paese”.
- Eppure da parte dell'Isis sono arrivate minacce dirette all'Italia, non vede proprio nessun rischio?
“Tecnicamente il rischio è zero. Dal punto di vista militare, in Libia non ci sono i mezzi per colpire l'Italia, come fece Gheddafi quando nell'aprile del 1986 lanciò due missili verso Lampedusa”.
- Se le cose stanno così, che senso ha immaginare una missione militare in Libia?
“Una missione militare italiana in Libia avrebbe senso se ci fossero un motivo, una politica che guida, un interesse nazionale da salvaguardare. Io non li vedo. Chi detiene gli interessi nazionali in Libia, come ad esempio l'Eni, non ha mai chiesto al governo italiano di sostenere una collaborazione militare, anzi ha detto più volte di non interferire troppo perché oggi in Libia loro stanno bene così come stanno”.
- Intende dire che il “via libera” all'intervento militare italiano dovrebbe arrivare dall'Eni?
“No. Non si tratta di avere un “via libera”, caso mai dovrebbe essere una richiesta da parte dell'Eni. Ma impegnarci in un intervento militare in Libia che faccia gli interessi dell'Eni vorrebbe dire metterci contro gli interessi dei britannici e dei francesi. Quindi è una ipotesi che non sta in piedi”.
- Proprio la Gran Bretagna e la Francia sembrano i due Paesi più determinati a intervenire in Libia. Se lo faranno, l'Italia come si comporterà?
“Noi ci regoleremo come abbiamo sempre fatto, dicendo che non volevamo, che non era nostra intenzione, ma poi in pratica faremo la nostra parte. Tanto ormai diciamo di sì a tutti come delle donne di facili costumi”.
Fabio Mini durante un dibattito.
- Però sia Renzi che Gentiloni finora si sono mostrati molto prudenti, nessuno sembra spingere sull'acceleratore. Il ministro degli Esteri Gentiloni ha ricordato in Parlamento che la Libia è grande sei volte l'Italia, quindi serve cautela. Lei che cosa ne pensa?
“E' vero che la Libia, dal punto di vista dell'estensione territoriale, è grande sei volte l'Italia. Ma gli spazi abitati dall'uomo, quindi anche militarizzati, sono molto limitati e concentrati in poche aree. Circa la prudenza del nostro governo, io direi che ciò che appare come prudenza e moderazione in realtà è solo mancanza di idee e di una politica. Da questo punto di vista, siamo di fronte a un vuoto assoluto dei nostri governanti”.
- In tutta questa vicenda il grande assente è l'Onu. Concorda?
“Sì, tuttavia l'Onu resta un'àncora di legittimità a cui aggrapparsi quando si decidono eventuali interventi. Il problema è che oggi alle Nazioni Unite contano solo gli interessi delle cinque potenze con diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza”.
- Rispetto alla Libia, quali sono gli interessi delle cinque grandi potenze?
“Il vero interesse è determinato dalle riserve di gas e petrolio. Per gli Stati Uniti, che ormai esportano petrolio, non si tratta di riserve rilevanti, quindi c'è scarso coinvolgimento. I russi potrebbero avere qualche interesse in più, ma non vogliono mettersi contro gli americani. La Cina nel 2011 ha evacuato dalla Libia migliaia di persone che lavoravano a dei progetti già concordati e pagati, quindi ora vorrebbe tornare, ma non lo fa con operazioni militari. I più determinati sono Gran Bretagna e Francia, cani mastini dei loro interessi, che hanno tutta l'aria di essere neo coloniali, come quelli di una volta”.