Non è una chiesa come le altre. E' un luogo storico, che «si radica nella grande tradizione legata a Sant’Ambrogio, ai santi Gervaso e Protaso, alla presenza di clero secolare e monacale» E' un luogo che possiede «un peso rilevante nei mondi della cultura, dell’arte, della convivenza civile». Lo ha ricordato anche l'arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, nominando monsignor Carlo Faccendini nuovo abate della Basilica di Sant'Ambrogio. Classe 1952, prete dal 1976, monsignor Faccendini è vicario episcopale della Zona di Milano, ruolo che continuerà a esercitare, contemporaneamente al nuovo impegno. Come Abate, prende il posto di monsignor Erminio De Scalzi, che ha rinunciato all'incarico per sopraggiunti limiti d'età, diventando abate emerito.
Monsignore, come ha saputo della nomina e quali sentimenti le ha suscitato?
«Mi ha chiamato, qualche giorno fa, il cardinale Scola per comunicarmela. E' stata un'emozione forte: un misto di sorpresa e di gioia. Verso la basilica di Sant'Ambrogio sento un forte legame personale, anche affettivo, che risale agli inizi del mio cammino, quando frequentavo l'università. La relatrice della mia tesi in storia medievale, la professoressa Annamaria Ambrosioni, lavorava presso l'archivio di Sant'Ambrogio, dove spesso andavo per verificare il mio lavoro. Inoltre all'interno della chiesa ho vissuto intensi momenti di preghiera personale. Ora in un certo senso rivivo quei primi passi. Inoltre sono felice di tornare a fare un po' il parroco, ruolo che ho svolto dal 1997 al 2005 e che sento mio».
Parlare a Sant'Ambrogio è un po' come parlare a tutta Milano. Che città si aspetta di trovare?
«Negli ultimi anni ho conosciuto una Milano in forte evoluzione. L'ho vista tirar fuori, nel periodo dell'Expo, le sue qualità migliori: laboriosità, capacità organizzativa e intelligenza creativa. D'altra parte ci sono anche tensioni e grandi problemi: la sfida dell'immigrazione, la mancanza di lavoro, la situazione precaria dei giovani, la vita nelle periferie, dura e complessa. Grazie al mio ruolo di vicario episcopale, conosco bene il clero milanese e questo mi rende fiducioso: ci sono tante energie positive, pur nella fatica. Altra caratteristica tipica dello “stile milanese” è la costante sinergia tra Chiesa e società civile: vorrei inserirmi nel solco di questa tradizione».
Società civile che sta attraversando tempi non semplici, tra scandali e una politica che fatica a essere credibile...
«Già, ma se guardiamo al passato, non troviamo certo situazioni idilliache. Confrontarsi con Milano non è mai stato semplice. Pensiamo ai tempi di Sant'Ambrogio o a quelli di San Carlo Borromeo: erano senz'altro più burrascosi dei nostri. Questa consapevolezza mi fa guardare al futuro con fiducia. Serve grande responsabilità, ma il contesto è molto stimolante, anche perché nel cuore della gente c'è una profonda attesa verso la Chiesa».
Quali sono i suoi punti di riferimento spirituale?
«Il riferimento principale sta proprio nella tradizione della nostra gente. Penso soprattutto alla Chiesa milanese e alla grandezza dei suoi arcivescovi (alcuni dei quali ho potuto conoscere di persona): da Montini a Colombo, da Martini a Tettamanzi, per arrivare, con l'attualità, al cardinale Scola. Nella parrocchie ho visto anche un prezioso ruolo svolto dal laicato, che è per me fonte di ispirazione non meno importante. Inoltre, godo dell'amicizia di monsignor De Scalzi, che mi ha preceduto come Abate a Sant'Ambrogio. So di raccogliere la sua eredità e di poter confidare sul lavoro che ha fatto lui: questo mi rasserena molto».