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domenica 13 ottobre 2024
 
IL COMMENTO
 

Facciamo la pace: quando la Chiesa e i Papi fermano le guerre o almeno sono scelti come mediatori

15/06/2022  Da Leone I, che la leggenda vuole aver fermato Attila, e da Gregoria Magno, a san Giovanni Paolo II: i precedenti della diplomazia vaticana nell'analisi dello storico Agostino Giovagnoli, dell'Università Cattolica di Milano. Giorni fa, Alexey Paramonov, direttore del Primo dipartimento europeo del ministero degli Esteri russo, aveva detto in un'intervista che Mosca guarda con favore agli sforzi della Santa Sede nel conflitto in Ucraina

di Agostino Giovagnoli, storico

Sono evangeliche le radici profonde dell’impegno dei Papi per la pace: sono i Vangeli a ispirare i cristiani nella ricerca della pace. Ma il Vangelo non è un’idea o un valore che si afferma in modo lineare diffondendosi progressivamente. E’ un seme che scende in profondità e la pianta che ne scaturisce cresce gradualmente, tra le contraddizioni della storia e molteplici forme di zizzania. E’ accaduto anche per il papato, un’istituzione che ha assunto molte forme diverse nella sua lunga storia.  

L’impegno del vescovo di Roma per la pace è cresciuto man mano che la crisi delle istituzioni civili ha caricato sulle sue spalle la responsabilità di proteggere la popolazione e parallelamente all’affermazione del carattere non solo romano ma anche universale del suo ministero. Nella crisi dell’Impero romano, secondo la leggenda Leone I fermò Attila, re degli Unni, e fu Gregorio Magno a prendersi cura della popolazione romana nello sfacelo della città nel VI secolo. Ulteriori sviluppi sono poi emersi quando i vescovi europei – in particolare francesi – chiesero al vescovo di Roma di estendere il suo ministero anche nei loro confronti per proteggerli dalle ingerenze del potere politico. Nacque allora, nell’VIII secolo, il potere temporale del papa, garanzia della sua indipendenza e della possibilità di difendere l’unità della Chiesa contro le pretese delle diverse autorità locali. Garantire l’unità della Chiesa, prima in Europa e poi nel mondo, ha significato sempre più per i papi conoscere le attese e le aspirazioni dei popoli, specie per quanto riguarda la pace.

Ma, come si è detto, la storia procede sempre in modo contraddittorio. Nel Medioevo, il potere dei Papi si è intrecciato con quello degli imperatori, generando un legame tra religioso e politico difficilmente districabile. I papi hanno indubbiamente contribuito alla creazione in Europa di una comunità di popoli relativamente pacifica, ma sono stati anche all’origine di imprese militari come le crociate. Tale intreccio è finito con il tramonto del Sacro Romano Impero e, dopo la prigionia avignonese, è nato lo Stato della Chiesa, che ha generato un nuovo problema: la necessità di difendere con le armi tale Stato, garanzia dell’indipendenza e dell’universalità del papa. Appartengono al Quattrocento e al Cinquecento papi guerrieri come Alessandro VI e Giulio II. Eppure, proprio la creazione dello Stato pontificio ha posto le premesse di un nuovo ruolo del papa quale pacificatore tra le potenze europee. Estraneo agli interessi che legavano e contrapponevano al tempo stesso le case regnanti nell’Europa moderna, il Papa è stato apprezzato sempre di più quale mediatore disinteressato. In particolare, durante le guerre di successione fu il papa a intervenire più volte come pacificatore. In questo contesto cominciò ad essere definito “padre comune” di tutti i popoli perché il suo arbitrato evitava la guerra e proteggeva le popolazioni.

Lo Stato della Chiesa è definitivamente scomparso nel 1870, con l’occupazione italiana di Roma. Paolo Vi ha definito provvidenziale la fine del potere temporale del Papa e indubbiamente tale fine ha aperto una stagione nuova, in cui l’impegno dei papi per la pace è diventato sempre più chiaro. Per il papato si aprirono due strade: conservare o rinunciare alla diplomazia del papa. Tale diplomazia non aveva più ragion d’essere rispetto all’obiettivo di tutelare gli interessi di uno Stato della Chiesa che non esisteva più. Ma poteva averne ancora per curare gli interessi della Chiesa in tutto il mondo e, appunto, per operare per la pace. Leone XIII intuì che l’universalità del papa giustificava l’esistenza di una diplomazia vaticana, svincolata da interessi temporali e proiettata verso nuovi orizzonti.

E’ proprio con Leone XIII che il papato ha cominciato una nuova opera di mediazione internazionale, riguardo a conflitti in Sudamerica e altrove. Con Benedetto XV, per la prima volta, il papa prese posizione contro la guerra in quanto tale, definendo la Prima guerra mondiale un’”inutile strage”. Da allora tutti i papi del XX e del XXI secolo – in modi diversi – si sono opposti alla guerra. Lo ha fatto Pio XI vedendosi avvicinare la Seconda guerra mondiale, il cui scoppio fu poi condannato con parole durissime da Pio XII. A Giovanni XXIII – che si adoperò per fermare la crisi di Cuba e per far dialogare i due blocchi durante la guerra fredda - si deve la prima enciclica interamente dedicata alla pace, Pacem in terris. Paolo VI – che intervenne per fermare la guerra in Vietnam – ha istituito la giornata mondiale per la pace che dal 1968 si celebra ogni 1 gennaio. Di Giovanni Paolo II ricordiamo soprattutto la coraggiosa condanna della guerra in Iraq nel 2003: mandò il cardinale Roger Etchegaray a parlare con Saddam Hussein, e il cardinale Pio Laghi a Washington, da George W. Bush.

Infine, il grido contro la guerra di papa Francesco risuona ogni giorno da quando è scoppiata la guerra della Russia contro l’Ucraina.  Il papato, insomma, non è stato sempre al servizio della pace, ma la sua lunga storia lo ha spinto sempre di più a svolgere un ruolo unico per la pace: non ci sono altre voci autorevoli che, come la sua, si spendano senza interessi di parte per la pace nel mondo e l’unità della famiglia umana.  

 
 
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