Al Sinodo si discute molto. Sta accadendo esattamente quello che è accaduto al Concilio Vaticano II, cioè discussioni vere. E critiche alle nuove regole stabilite per il Sinodo ordinario pochi mesi fa. Al Concilio sappiamo che nulla fu pacifico. Al Sinodo sta accadendo la stessa cosa. Se è vero che si parla liberamente è per lo meno verosimile che ci siano pareri opposti e che qualcuno in queste settimane tenti una mediazione. Le mediazioni di solito arricchiscono sia i punti di vista sia le soluzioni. Anche nelle mediazioni agisce lo Spirito di Dio. Che vi siano dunque rigoristi versus aperturisti non è un mistero e neppure una novità. E non è affatto un male. Esattamente come al Concilio.
Perché il Concilio non è fallito? Perché umili uomini di Chiesa si sono impegnati a mediare. Non è un mistero che il documento preparatorio e il questionario preparato dalla Segreteria del Sinodo non sia piaciuto a molti. Perfino lo stesso cardinale Péter Erdő, relatore generale al Sinodo, da esso ha preso le distanze e infatti non ha voluto distribuire il questionario nella sua diocesi ungherese. Negli interventi in aula molti padri hanno osservato che i problemi della famiglia e tutto quanto ne consegue in termini di rapporto con la dottrina e la pastorale della Chiesa sono diversi da continente a continente. Monsignor Johan Bonny, vescovo di Anversa e presidente dei vescovi belgi, che ha pubblicato integralmente il suo intervento sul sito della sua conferenza episcopale, ha suggerito di lasciare le soluzioni pastorali in mano alle singole conferenze episcopali: «E’ importante che il Sinodo riconosca ai vescovi locali lo spazio d’azione e la responsabilità necessaria a formulare per la porzione di popolo di Dio a loro affidata, risposte adeguate alle questioni pastorali. Le conferenze episcopali giocano qui un ruolo particolare».
L’intervento di monsingnor Bonny ha riaperto una questione cruciale sulla quale i teologi discutono dal Concilio in avanti e cioè il potere delle Conferenze episcopali, problema dottrinale e non solo pastorale. Il vescovo di Filadelfia, monsignor Charles Joseph Chaput, ha chiuso subito la questione: “Non penso che sia cosa opportuna”. Ma ha anche confermato che discussione vivace c’è stata e che al Sinodo ci si divide e ogni gruppo spinge per determinate posizioni. Sotto accusa sono finiti gli africani, che sono 54 padri sinodali, che costituirebbero il nocciolo duro dei conservatori.
Anche questo non è un mistero. In realtà gli africani spiegano che tutti i problemi che sente l’Occidente ricco in Africa non si colgono e le sensibilità culturali, prima che ecclesiali, sono diverse. Sulla libertà di “soluzioni regionali, nazionali o continentali per sfide tanto differenti”, come del resto già avviene di fatto in alcune aree della Chiesa su questioni anche sensibili, probabilmente ci sarà discussione anche severa.