Dopo le difficoltà iniziali, si è avviato il 68° Governo della storia repubblicana. Sabato 22 ottobre hanno giurato nelle mani di Sergio Mattarella i legittimi vincitori delle elezioni del 25 settembre, l’alleanza di centrodestra guidata dalla prima premier donna della nostra storia (e questa è una buona notizia), la fondatrice e leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, e composta anche dai suoi due riottosi alleati, Salvini e Berlusconi. Questi, usciti ridimensionati dal voto e politicamente ancillari rispetto alla Meloni e al suo partito, ma proprio per questo con un forte potere ricattatorio in tasca, per qualche ministero che conta in più (soprattutto Interni e Giustizia) con le loro dichiarazioni riguardo alla inquietante figura di Vladimir Putin, alla sua folle guerra contro l’Ucraina e alle sanzioni contro la Russia, hanno rischiato di non far vedere l’alba al nuovo esecutivo. La premier ha tenuto la barra a dritta, ribadendo la fedeltà alla scelta atlantica ed europeista dell’Italia e mettendo da parte, speriamo per sempre, le sue simpatie per una certa destra identitaria e antidemocratica che aleggia per l’Europa (e non solo). Anche su questo lei e il suo esecutivo saranno valutati.
Papa Francesco nell’Angelus di domenica 23 ottobre ha pregato per il nuovo Governo e per l’unità e la pace dell’Italia. Un invito a mettere da parte faziosità e partigianerie per il bene del nostro popolo. Va salutato anche positivamente il fatto che, in un momento in cui la democrazia nel mondo è in crisi (l’Inghilterra ha appena visto la fine del governo di Liz Truss, il più corto della sua storia: solo 45 giorni a Downing Street), abbiamo assistito, da un lato, al pacifico e regolare svolgersi di quegli adempimenti che, dopo il voto, sigillano il nostro ordine democratico (dalla costituzione delle Camere alla votazione per la fiducia in Parlamento), e, dall’altro, all’assegnazione per la prima volta dopo molti anni dell’incarico di Governo alla coalizione risultata vincitrice alle elezioni (l’ultimo fu Berlusconi nel 2008), nonostante resti la grave ombra di un’affluenza alle urne molto bassa.
Ora, però, l’attesa è finita ed è tempo che questo esecutivo si assuma le responsabilità che il popolo le ha affidato. Domenica scorsa, al momento dell’avvicendamento a Palazzo Chigi, Mario Draghi - che non possiamo non ringraziare per come ha affrontato la gravissima crisi di questi mesi -, insieme alla tradizionale campanella, ha consegnato alla Meloni e al suo governo un incoraggiante accordo a livello europeo sul “price cap”, per contenere il prezzo dell’energia, e un’agenda obbligata per permettere al Paese di uscire dalle secche di una terribile crisi sociale che sta pesantemente battendo sulla nostra gente (v. nostro servizio a p. 36 e seguenti), come ricordava nel suo indirizzo di saluto al nuovo Governo il Presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi. Il nuovo Governo si giocherà la credibilità su come saprà affrontare la crescente povertà, sulla fedeltà al posizionamento internazionale dell’Italia e sul rispetto della via tracciata dal Pnrr e del suo timing, con tutte le riforme che è necessario condurre in porto. Senza dimenticare le famiglie, sempre più provate (occorre insistere con l’assegno unico), la creazione di nuovi posti di lavoro (soprattutto per i più giovani) e l’attenzione ai “soliti” poveri, i disperati che con i loro barconi raggiungono ogni giorno dall’Africa le nostre coste in cerca di futuro.