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venerdì 18 aprile 2025
 
 

Famiglia Paolina, un secolo di vita: l'ultima intervista

15/09/2014  Tutto cominciò il 20 agosto 2014. Ad Alba. L'intuizione di don Giacomo Alberione ora abbraccia il mondo: giornali, libri, radio, tv, web. Queste le riflessioni del Superiore generale, don Silvio Sassi, pubblicate il mese scorso da Famiglia Cristiana.

«Un carisma nomade, che si snatura se diventa sedentario. Un carisma da vivere all’aperto e non al riparo con le porte e le finestre chiuse. Un carisma in corsa, un protendersi in avanti, verso il futuro, con freschezza e originalità. Non un’ancora, ma una vela sempre spiegata al vento dove abita lo Spirito». Don Silvio Sassi, Superiore generale della Società San Paolo, parla della Congregazione che pubblica anche il nostro giornale. Alle sue spalle una foto del fondatore, il beato Giacomo Alberione, che legge il breviario. Un sombrero verde fa bella mostra su una vetrinetta piena di oggetti di tante nazioni. Ogni cosa ricorda quanto, da una piazzetta d’Alba, in Piemonte, si sia estesa la Famiglia Paolina. Toccando tutti i continenti e ringiovanendosi nelle idee e nelle opere.

A cento anni dalla fondazione, don Sassi spiega l’originalità dell’intuizione di Alberione e traccia un bilancio che ha all’attivo due beati (oltre al fondatore anche il primo giornalista paolino, don Timoteo Giaccardo), quattro venerabili, migliaia di uomini e donne rimasti affascinati in ogni angolo del pianeta e distribuiti in cinque congregazioni, quattro istituti paolini di vita secolare consacrata e un’associazione di cooperatori. Molto è stato fatto e molto resta da fare, incluso anche il continuare a inserire le novità del Concilio nel carisma paolino e ad approfondire sempre più san Paolo, fin dalle origini modello ispiratore. C’è di che essere soddisfatti, a cento anni da quel 20 agosto.

«Dobbiamo essere riconoscenti alla Provvidenza divina. Anche pensando a i numeri:  don Alberione amava pregare con le statistiche! In quel 1914 il fondatore,con tre ragazzetti, ha benedetto laprima macchina da stampa e si sono raccolti in un’ora di adorazione. Da lì è partito tutto e oggi siamo nei cinque continenti con giovani aspiranti in India, Filippine, America latina, Congo, Nigeria… Questo ci dà anche lo slancio per non guardare solo indietro, ma continuare a esercitare il pensiero per capire come evangelizzare gli uomini e le donne di oggi attraverso la comunicazione. Il passato è nelle mani di Dio: solo la sua onniscienza conosce il bene che è stato compiuto con la nostra evangelizzazione».

Si può dire che del Concilio siete stati un po’ i precursori, se pensiamo all’importanza dei mass media, alla collaborazione con i laici, al guardare al mondo con simpatia?

«Il nostro fondatore ha iniziato il suo contributo all’aggiornamento voluto dal Concilio fin dal 1914;  poi ha partecipato come membro effettivo al Concilio e infine ne ha scritto e parlato varie volte. Con riconoscenza commossa amava ripetere che la massima approvazione di quanto aveva portato avanti con tenacia per anni era arrivata dal Concilio. Oggi il problema è riflettere se noi che avevamo cominciato prima con una forma nuova di evangelizzazione, una volta raggiunti dall’intera comunità ecclesiale, abbiamo continuato questa corsa in modo altrettanto originale. Oggi non possiamo accontentarci solo di ripetere ciò che Alberione diceva. In quegli anni erano idee e iniziative pionieristiche,anche nella visione di Chiesa; oggi dobbiamo studiare, formarci e agire nel contesto attuale. Proprio perché tutta la Chiesa è mobilitata per evangelizzare con la comunicazione, occorre continuare quelle che erano le idee fondanti di don Alberione, perché il rischio è quello di sederci. Di guardare il carisma con la testa rivolta indietro come la moglie di Lot».

Come va guardato invece?

«Rivolti verso la terra promessa,guardando in avanti come idealità. Nello stile di don Alberione, gli anniversari si celebrano in piedi, con una piccola sosta,pronti a riprendere il cammino. Se certe istituzioni non riescono a mantenersi giovani, diceva il fondatore, non è la prima volta nella Chiesa che vengono emarginate e poco alla volta diventano inutili. Non siamo i primi e neppure gli ultimi che si occupano di comunicazione nella Chiesa. Ma, grazie a Dio, il nostro carisma è in costante divenire,abbiamo una locomotiva che ci trascina verso il futuro».

Qual è?
«Gli sviluppi continui della comunicazione,oggi le tecnologie digitali. Per noi la comunicazione non è un optional,ma è il modo di evangelizzare. E dobbiamo stare al passo con i tempi, al passo con le tecnologie. Questo ci impedisce di sederci. Invece dobbiamo camminare,mano nella mano con la comunicazione.Questo significa, anzitutto,pensare, non avere l’ansia dell’ultima tecnologia da adottare per il Vangelo.Non si mantiene giovane il carisma solo con la frenesia delle attività. È il pensiero il motore di tutto. E lo studio. Un paolino che non studia e che non prende il tempo di pensare è un paolino che in poco tempo diventa inutile. In Italia,negli anni Ottanta e Novanta, avevamo un centro di studi sulla comunicazione per l’evangelizzazione, lo Spics (Studio paolino internazionale della comunicazione sociale). Oggi abbiamo due facoltà di comunicazione in Brasile e Messico, centri di formazione in India, Filippine e, in prospettiva, anche in Colombia. Non siamo soltanto una congregazione che produce riviste, libri, film, Dvd…Ma che si impegna anche a elaborare un pensiero sulla comunicazione per l’evangelizzazione. Quando cambia la comunicazione, anche il modo di evangelizzare finora usato deve interrogarsi se continua a essere efficace».

In questi cento anni quali sono stati i cambiamenti più importanti?
«Cominciamo con il dire ciò che non cambierà mai, ripetendo le parole di don Alberione:  “Non era necessario fondare una congregazione religiosa per avere una casa editrice cattolica in più e, meno, un’impresa commerciale: siamo una società di apostoli che evangelizzano”. Questo obiettivo resta identico nonostante alcuni cambiamenti avvenuti in questi cento anni. Anzitutto la distribuzione geografica dei Paolini: oggi in Europa, in Nordamerica e in Australia è molto scarsa la richiesta di giovani per appartenere alla Congregazione. In altri continenti, come già detto,vi è un fiorire di gioventù. Vi è, poi, un cambiamento anche nella distribuzione delle attività paoline di comunicazione:nazioni che sono state esempio e traino si trovano oggi, per un concorso di circostanze, in sofferenza. In nazioni dove prima vi era una presenza minima, si sta producendo uno sviluppo impensato. Ha subìto un cambiamento notevole,con un forte incremento, la presenza di collaboratori laici nelle iniziative paoline di evangelizzazione. Sarebbe perdere un’occasione considerare questo aiuto solo una necessità di professionalità in comunicazione; bisogna che i nostri collaboratori siano coinvolti,secondo la responsabilità affidata,anche nel pensare e vivere la missione di evangelizzare».

Pensando al modello di Chiesa siete molto vicini allo stile di papa Francesco.
«Balza subito agli occhi il desiderio pastorale e missionario di papa Francesco. Quando dice di andare in mezzo alla gente, di aprire le porte della Chiesa,a noi Paolini fa tornare in mente don Alberione che affermava: “Un prete che sta chiuso in canonica non fa il suo dovere,deve andare in mezzo alla gente,fuori dalla sacrestia, non è più tempo di aspettare la gente in sacrestia, bisogna andare a trovarla lì dove vive e oggi questo è possibile con la stampa”. Questa dimensione della fede missionaria è identica. Don Alberione aveva capito che esiste un popolo della comunicazione che non è lo stesso che va in Chiesa; che è diffuso un bisogno di incontro senza contatti diretti ma mediati dalle tecnologie di comunicazione; che esistono poveri anche nella comunicazione e che evangelizzare con la comunicazione è una forma originale di praticare le opere di misericordia».

Qual è il suo augurio per i prossimi cento anni?
«Che ci siano tante persone giovani che si infiammino per il carisma paolino,ma non in un senso bigotto. Il carisma paolino non è per gente bigotta,ma per gente che ha voglia di stare in mezzo agli altri, senza prediche, ma dando una testimonianza di vita e impegnandosi con la comunicazione nelle trasformazioni della vita sociale. Auguro che molti scoprano che la comunicazione è una via sicura per la santità personale e per aiutare gli altri a incontrare e amare Dio».

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