Nella Bibbia si parla di tante famiglie. Vi si narrano storie non di personaggi isolati che si rivolgono solo a Dio, ma di uomini e donne visti all’interno delle loro relazioni familiari e nella complessità dei rapporti che intercorrono tra i membri di quelle famiglie: Abramo e la moglie Sarài, Mosè con suo fratello, sua sorella, il suocero Ietro, e così via...Se cercassimo in queste storie familiari dei modelli di riferimento, però, faticheremmo a trovarne, perché tutte queste famiglie presentano limiti e fragilità.
E non stiamo parlando semplicemente del fatto che al tempo in cui erano narrate molte vicende dell’Antico Testamento vigesse la poligamia (e così, lo stesso Israele-Giacobbe ha avuto due mogli, Lia e Rachele).Nei racconti biblici un fratello uccide il fratello (Caino e Abele), o, senza arrivare a tanto, si mette al suo posto come primogenito (Giacobbe ed Esaù); un padre (Abramo) caccia il proprio figlio (Ismaele) di casa; un figlio (Assalonne) vuole usurpare il trono del padre (il re Davide); una sposa, come quella del profeta Osea, tradisce il proprio coniuge.
Per questo le relazioni familiari così come sono presentate nella Bibbia sono di estrema attualità, perché riflettono quella che è l’esperienza umana, fatta di luci e ombre. Scrive Gregorio Vivaldelli alla voce “Matrimonio” del Dizionario Temi Teologici della Bibbia: «La Bibbia, nel lungo arco di tempo della sua composizione, ha il coraggio di fotografare il matrimonio sia nelle sue testimonianze più luminose, fatte di monogamia, indissolubilità, fecondità, relazione romantica, alleanza, unione sessuale e apertura alla vita, sia nelle manifestazioni più legate a culture e costumi di tempi e di ambienti diversi, quali l’adulterio, il maschilismo, la poligamia e il ripudio».
Questo ragionamento vale anche per le famiglie di cui si parla nel Nuovo Testamento. Senza pensare alla parabola del “figlio prodigo”, nella quale un figlio abbandona il padre dopo aver chiesto la sua parte di eredità, mentre l’altro non vuole nemmeno più entrare nella casa paterna (Luca 15), possiamo ricordare la storia di una coppia di discepoli di Gesù, Anania e Saffira, narrata negli Atti degli Apostoli (cap. 5).
I due, mentre avrebbero dovuto donare alla comunità il ricavato della vendita di un terreno, ne tengono per sé una parte, e per questo verranno giudicati severamente. Si tratta di quello che Daniel Marguerat ha definito il «peccato originale» nella Chiesa, che riproduce la stessa situazione narrata nel libro della Genesi, con la trasgressione della prima coppia (cap. 3): è un peccato che riguarda le relazioni familiari. A fronte di questo, già nell’Antico Testamento, come nel Nuovo, si propongono storie di relazioni pacificate. Giuseppe, venduto dai fratelli e deportato in Egitto, alla fine li perdonerà riconciliandosi con loro (Genesi 45), come Gesù perdonerà i discepoli che l’hanno rinnegato e abbandonato, chiamandoli «miei fratelli» (Mt 28,10). Il perdono e l’amore, infatti, sono la “buona notizia” portata da Cristo Gesù a ogni famiglia imperfetta