Arianna Prevedello, critica cinematografica e autrice del recente Di fronte all’amore. Tutto quello che ci resta da vivere (ITL) ci aiuta a esplorare come oggi il cinema ritrae la famiglia. «C’è un abisso tra la produzione audiovisiva mainstream e i film d’autore. Mentre se parliamo di serie Tv o di cinema commerciale prevale un approccio piuttosto stereotipato, nei film d’essai il tema della famiglia è preso sul serio, con una narrazione profonda e sincera».
Un primo tema sul quale si focalizza la produzione recente riguarda la fragilità dei rapporti di coppia, una certa “disinvoltura” nella scelta e nell’abbandono dei partner. «Un esempio di questo può essere la serie Fedeltà su Netflix, tratta dal romanzo di Marco Missiroli. Va detto che, mentre il romanzo fa compiere al lettore un percorso interessante su cosa significa il legame tra due persone in una coppia, nella trasposizione sullo schermo il tema viene affrontato in modo più superficiale».
Ecco il trailer di Fedeltà (l'articolo continua sotto)
Speculare a questo approccio, centrato sulle difficoltà di un rapporto in un contesto “liquido” come l’attuale, c’è però – sottolinea Prevedello – il rischio di innalzare quasi la famiglia a “idolo”, «il pericolo di eroicizzarla oltre misura. Penso al recente film di Paolo Genovese Supereroi. Sembrerebbe, a prima vista, un prodotto pieno di buoni sentimenti (con un messaggio centrato sulle mille insidie della società, ragion per cui fare famiglia oggi è un atto eroico); ma, a uno sguardo più critico, trovo che sia poco credibile e significativo». Continua: «È vero che a volte la vita familiare chiede sforzi e impegno non da poco, ma la via giusta non consiste nel mettere sul podio della prestazione la famiglia, come se vivere in famiglia fosse una super-impresa».
Il trailer di Supereroi, Paolo Genovese (l'articolo continua sotto)
Si può, quindi, raccontare il vissuto familiare (con la sua vasta gamma di problemi e difficoltà) con un registro diverso? Prevedello ne è convinta: «Un esempio interessante ce lo ha lasciato Mattia Torre, con il suo Figli, completato da Giuseppe Bonito: in quel caso viene mantenuto l’accento rocambolesco, però non giocato sull’epico, poiché gli attori trasmettono la loro inadeguatezza. Il che non porta alla depressione, ma è uno sguardo critico e autocritico. Significa riconoscere che per “amministrare” una famiglia – in termini di amore, sostenibilità economica, prestanza genitoriale – occorre compiere un cammino. Non si nasce già capaci. Ma non c’è bisogno di eroi».
Il trailer di Figli, di Mattia Torre/Giuseppe Bonito (l'articolo continua sotto)
Un altro film meritevole («perché ci porta fuori dal tempo») è Lei mi parla ancora di Pupi Avati.
Prevedello lo definisce «un film dove la “liquidità” dei rapporti non si percepisce, anzi; lì si racconta un amore che non si trasforma in idolo, ma è eterno. Indubbiamente, rispetto al libro cui si ispira, il regista trasmette anche qualcosa della sua concreta relazione con la moglie. Al punto, aggiunge, che viene voglia anche – a chi come me – ha perso il coniuge in modo improvviso di sperare nella possibilità che una storia d’amore “coltivata” bene possa candidarsi all’eternità, al “per sempre”. Perché dipende da noi la capacità di continuare i rapporti veri nel tempo».
Lei mi parla ancora, di Pupi Avati (l'articolo continua sotto)
Molto spesso un’insidia notevole nel rapporto di coppia, specie oggi, è il lavoro. «Il recente film di Stéphane Brizé Un altro mondo è incentrato proprio su questo. La coppia protagonista della vicenda arriva a separarsi perché la moglie si ritrova, per così dire, sposata con l’azienda di lui più che con il marito, che sta lottando per arginare i tagli selvaggi al personale dell’azienda in cui lavora. Il che ci fa capire quanto nel nostro tempo si scarichino sulla famiglia tensioni che vengono da fuori, quanta sofferenza nascosta esiste dentro alcune coppie, non addebitabile di per sé ai coniugi».
Un altro mondo, di Stéphane Brizé (l'articolo continua sotto)
Se un film come questo colpisce, è perché lo sguardo del regista – annota Prevedello – propone, «più che un taglio sociologico, una vicenda esistenziale nella quale lo spettatore può identificarsi».Da ultimo, un cenno a un tema cruciale quale la sessualità. «Penso a film come Parigi, 13Arr., del regista Jacques Audiard, che racconta un mondo dove il sesso non è più negato, anzi è a disposizione di tutti e sempre, ma “goduto troppo”, senza limiti, perde il suo senso di legame.
Audiard utilizza un registro tutt’altro che moralistico e mostra personaggi che percepiscono il “disordine” in cui vivono ma hanno il coraggio di riconoscerlo». In una prospettiva diversa, che tiene conto delle differenze tra religioni, infine, «il film tunisino Una storia di amore e desiderio diretto da Leyla Bouzid ci ricorda quanto sia importante ascoltare il proprio corpo»
Parigi, 13Arr., del regista Jacques Audiard, il trailer