Entriamo nella casa romana di Paolo Villaggio che è pomeriggio inoltrato. Aspettiamo un bel po’, finché si spalanca una porta: «Scusi, ma stavo dormendo profondamente. Meglio di tanti altri che si fanno attendere perché pensano di essere importanti». Vero. E poi la lunga pennichella è giustificata dal lavoro che impegna Villaggio in queste settimane. C’entra Fantozzi?
«Sì, ma non posso dire di più». Per adesso, accontentiamoci di rivedere al cinema, fino al 4 novembre, i primi due film della saga restaurati per festeggiare i 40 anni del capostipite. «Fantozzi uscì in poche copie dopo Pasqua. Quindi non c’erano grandi attese», ricorda l’attore. «E invece restò al cinema Barberini di Roma fino al Natale successivo».
Impiegato all'Italsider
La maschera più popolare del cinema italiano dopo Totò, nacque durante gli anni passati da Villaggio all’Italsider di Genova: «Quando ci si ritrovava alla macchinetta del caffè, c’era chi si vantava: “Da sei anni non faccio assolutamente niente”. O era malato o trovava il modo per non lavorare. Io stesso, ogni tanto, sfilavo qualche pratica dal mucchio e la gettavo nel cestino. Poi ricordo una ragazza molto carina che timbrava i cartellini. Io con un altro farabutto lasciavo la giacca sulla sedia e me ne andavo al mare. Se il capo mi veniva a cercare, lei rispondeva: “Non c’è, ma deve essere qui vicino perché c’è la sua giacca”. Poi chiamava il bagnino che iniziava a sbracciarsi. Noi capivamo, tornavamo di corsa in ufficio e ci presentavamo dal capo. Lui ci vedeva ed esclamava: “Come siete sudati…”. E noi: “Sa, il caldo…”. E invece era l’acqua del mare».
Proprio come i dipendenti del Comune di Sanremo immortalati in questi giorni dalle telecamere mentre lasciano il posto di lavoro per andare a fare canottaggio. Per questo Fantozzi è sempre attuale. Ma c’è anche un motivo più profondo, secondo Villaggio, alla base del suo imperituro successo. «All’inizio la gente mi diceva: “Fantozzi mi diverte perché è uguale a mio zio Luigi”. Oppure: “Sembra il mio vicino di pianerottolo”. Le donne invece lo rifiutavano, perché lo ritenevano troppo triste. Invece, con il passare degli anni, sempre più spesso mi sono sentito ripetere, anche dalle donne: “Fantozzi mi rassicura. Non sono sola: anch’io mi sento incapace di essere sempre competitiva”. Fantozzi, cioè, svolge una funzione terapeutica: libera con una risata dal timore, che il 90 per cento degli italiani prova senza confessarlo, di sentirsi dei perdenti rispetto al potente di turno».
Potenti che nessuno come Villaggio ha messo alla berlina, evidenziandone i difetti, a cominciare dalla vanità: «Come l’ingegnere a cui non basta qualificarsi così, ma si presenta come “Dott. Ing. Grand. Uff. Lup. Mann.”». Vanità anch’essa attualissima: solo che le iperboli fantozziane sono state sostituite da termini inglesi, dai biglietti da visita su cui si legge: “Chief executive planning manager”…
E a proposito di iperboli, Villaggio confessa di essersi ispirato nella costruzione del linguaggio dei libri e poi dei film su Fantozzi a scrittori russi come Gogol’ e Cechov con il loro gusto per l’eccesso e il paradosso. «Nei libri non scrivo mai “pauroso”, ma “terrificante” o “tragico”. Oppure si trovano espressioni come “il direttore mega galattico”, o “salivazione azzerata”».
Proprio in Russia, Fantozzi è popolarissimo: «Sono stato invitato quattro volte al Festival del cinema di Mosca. La prima sera il presentatore esordì così: “Prima di “Fantozzi” abbiamo il piacere di mostrarvi una biografia del compagno Breznev…”. In sala calò un silenzio tombale. Poi iniziò il film e per i russi, abituati a essere trattati come sudditi, fu una liberazione. Non ho mai visto così tanta gente ridere in quel modo».
Ma l’apoteosi si raggiunse quando arrivò la scena della Corazzata Potemkin, il capolavoro di Ejzenstejn definito da Fantozzi “una boiata pazzesca” (in realtà, usa un termine un po’ più colorito…).
«È un bel film, ma a quel tempo ogni russo era costretto a vederlo dai 5 agli 80 anni e per la prima volta vedevano qualcuno che osava dire ciò che loro pensavano ma non potevano esprimere».
le critiche della moglie
C’è però almeno una persona a cui Fantozzi continua a non piacere per niente: Maura, moglie di Paolo Villaggio. «L’unico personaggio che la diverte è Filini, l’organizzatore di gite interpretato da Gigi Reder. Per il resto, pensa che i miei film valgano poco. Per lei sono stati solo un colpo di fortuna. Preferisce quelli con Alain Delon e Robert Redford. Però ci vogliamo bene lo stesso».
Si vogliono bene da tantissimo tempo, per la precisione più di sessant’anni. «Con lei ho fatto due giri del mondo e questi viaggi ci hanno unito ancora di più». I viaggi ora Villaggio li fa quando dorme: «Nei miei sogni sono sempre l’unico protagonista. Viaggio in luoghi pieni di luce dove non sono mai stato e in un tempo indefinibile. Al risveglio, ogni volta penso: peccato, stavo così bene».