Rosario de la
Frontera, provincia di Salta, Argentina. È qui, a circa 1.200 chilometri a
nord-ovest di Buenos Aires, nella "Città delle terme", che centinaia
di turisti, ogni giorno, ogni anno, affollano le piscine naturali per godere
degli effetti terapeutici di sorgenti uniche e preziose. L'altra faccia di
Rosario, però, racconta una realtà diversa, ben lontana dagli alberghi di lusso
e dalle spa: la disoccupazione tocca punta altissime portando con sé gli
inevitabili problemi tipici di quei contesti in cui, soprattutto i giovani che
qui sono la maggior parte della popolazione, perdono troppo presto la speranza
di un futuro migliore. Notevole il gap fra la popolazione più abbiente e quella
che non dispone dei mezzi minimi per la propria sopravvivenza e vive in
condizioni di esclusione e povertà. Tutta la terra fertile è di proprietà di
poche famiglie abbienti e la trasformazione del settore agricolo a favore della
monocultura della soia, assieme allo smantellamento della linea ferroviaria
nazionale, hanno provocato una crisi occupazionale gravissima. Qualcosa, per
riaccendere la fiamma, però, si può fare: ad esempio, nei Centri educativi San
José e Nadino, realizzati dalla confraternita dei Giuseppini del Murialdo,
approdati a Rosario da ormai oltre 20 anni. Il primo offre corsi di formazione
professionale rivolti a giovani ed adulti, con specializzazioni in elettricitá,
falegnameria, informatica e gastronomia e comprende la scuola primaria Santa
Rita; il secondo offre appoggio scolastico e attività ludico-ricreative per
bambini e ragazzi cui aggiunge un servizio di mensa della quale possono
usufruire i bambini e i ragazzi che frequentano i centri educativi. In
particolare, il Centro Educativo José accoglie in questo momento bambini e
adolescenti dai 5 ai 18 anni, per un totale di 395 alunni che frequentano il
ciclo primario, secondario e la scuola “non formale” Nadino. La presenza di
campi da pallavolo, calcio, basket e hockey, e l’apertura della piscina durante
la stagione estiva, fanno del centro un importante punto di accoglienza e
aggregazione per i giovani. Relativamente alla educazione cristiana, sono
proposte attività di catechesi e di associazionismo rivolti ai giovani e alle
famiglie della comunità.
Un'avventura,
quell'Engim (Ente nazionale Giuseppini del Murialdo) internazionale, nata nel 1977 per raccogliere ed esportare in tutto
il mondo l'eredità di san Leonardo Murialdo a difesa dei minori, dei lavoratori
e delle donne. Dall'Argentina, appunto, al Brasile, dalla Colombia all'Ecuador,
dal Messico all'Albania, dal Ghana alla Guinea Bissau, dalla Sierra Leone al
Mali senza dimenticare l'India, i volontari e gli operatori della onlus
(diventata ong nel 2000) promuovono e realizzano iniziative concrete di
cooperazione allo sviluppo. Volontariato internazionale, servizio civile
all'estero, sostegno a distanza, commercio equo e solidale, turismo
responsabile, educazione allo sviluppo: modi, strade, approcci diversi,
tagliati su misura a seconda del contesto e del progetto, per sostenere la
formazione umana e professionale dei giovani e delle fasce più svantaggiate
tramite centri professionali di orientamento e inserimento lavorativo,
case-famiglia, centri di accoglienza e aggregazione giovanile, mense per
bambini e ragazzi di strada, ambulatori e scuole di alfabetizzazione,
interventi per facilitare l'accesso all'acqua potabile e consolidare la
sicurezza alimentare. La storia di Antonella, che riportiamo di seguito, è una
delle facce in cui si esprime la poliedricità delle azioni di Engim
internazionale: partita grazie al Servizio volontario europeo, cioè
quell'esperienza all'estero con associazioni e organismi non governativi che
l'Unione europea propone ai giovani tra i 18 e i 30 anni, questa ragazza ha
scoperto che "Fare il bene e farlo bene", motto di san Murialdo e
titolo del progetto a cui ha preso parte, è possibile.
«Cinque mesi mi sembrano un tempo
sufficientemente ampio per raccontarvi qualcosa della mia esperienza argentina
con il Servizio Volontario Europeo. Sono arrivata qui a Rosario de la Frontera
a marzo, con un autobus che ha viaggiato per 1100 kilometri da sud verso nord,
un nord sempre più assolato e caldo, dove l’estate non voleva saperne di
terminare.
Muoversi dentro un Paese esteso nove volte l’Italia significa abbandonarsi al
piacere del viaggio, affidarsi alla strada e godere di paesaggi che non pongono
confini alla vista e all’immaginazione. Viaggiare in Argentina è una lunga e
piacevole attesa, un allenare lo sguardo a una natura profondamente differente;
le immense distese di soia, le coltivazioni di ulivi e canna da zucchero si
alternato a paesaggi aridi e ostinatamente incoltivabili. Passando di lì devi
augurarti di non forare una gomma, perché per centinaia di chilometri
l’espressione più vicina a un essere umano, che puoi sperare di incontrare, è
una vacca … e non sempre è viva!
L’altro viaggio, quello dell’anima, è un susseguirsi di emozioni
indescrivibili, di pensieri, di esperienze e conoscenze che solo ora, a
distanza di mesi, prendono forma e forse voglia di essere raccontati e
condivisi.
Rosario de la Frontera è un “pueblo” tranquillo nel nord
dell’Argentina, che va al di là dell’immaginario di un Paese tutto tango, carne
e Peròn. Lontano dallo sfavillio e dai ritmi frenetici di Buenos Aires, lontano
dai paesaggi maestosi della Cordigliera, Rosario è una città di frontiera di
un'Argentina “criolla”.
Passeggiando per le vie di
Rosario a volte si ha l’impressione di trovarsi dentro una pellicola degli anni
’50, una di quelle che racconta della mia bella Sicilia dalle strade sterrate,
con le galline nel cortile, con i bambini – tanti - che giocano liberi
per strada e con l’impressione che nessuno ti stia guardando, quando invece ci
sono occhi invisibili che ti osservano dietro una finestra socchiusa. È come
ritrovarsi dentro quel mondo che hai provato ad immaginare dai racconti dei
tuoi genitori bambini, quel mondo di cui ora puoi sentire gli odori e i sapori.
Questa, certamente, è solo una parte della storia, l’altra, altrettanto reale, è fatta di cellulari, internet, automobili, imprese, ristoranti, cinema, discoteche, scuole, università, tutte quelle cose che con una parola chiamiamo modernità, a volte frutto di uno sviluppo auspicato, a volte frutto di un desiderio fittizio, che non era il tuo … ma che ti hanno fatto credere lo fosse! Nell’architettura domina una decisa essenzialità, poco interesse per l’estetica e grande valore al necessario. È un luogo, questo, dove la popolazione è talmente esigua rispetto alla disponibilità di terra che non è necessario affollarsi in palazzi di quindici piani; qui ancora puoi permetterti il lusso di essere sepolto sotto terra, e basta girare l’angolo per trovare uno spazio verde dove portare a giocare i bambini. Dentro questa realtà così contraddittoria e autentica sto svolgendo il mio anno di volontariato; un anno per ascoltare e per ascoltarmi, un anno per fare e fare bene, ad un età in cui ho sentito la necessità di dedicarmi del tempo per seguire un sogno per anni lasciato sul fondo di un cassetto. Qui lavoro in una scuola in percorsi di appoggio scolastico e di contenzione sociale a contatto con bambini e ragazzi dai sei ai diciassette anni. Oggi, a distanza di cinque mesi dal mio arrivo, ancora mi stupisco di come sia riuscita ad imparare tutti i loro nomi, di come sia capace di riconoscere in ognuno di quei volti, che all’inizio mi sembravano tutti uguali, una storia unica … che non sempre è serena, non sempre è felice.
Di tutte queste storie ve ne voglio raccontare una, quella di Santiago (il nome di fantasia serve a tutelarne la privacy). Santiago è il maggiore di cinque fratelli che frequentano il Nadino, centro di appoggio scolastico nato per garantire ai bambini la possibilità di trascorrere i pomeriggi in un ambiente sano e di pranzare nella mensa della scuola, grande aiuto economico per le famiglie. Santiago vive in un’abitazione che definirei, senza vergogna, povera, con la mamma, la nonna e i suoi quattro fratelli. La madre di Santiago è l’unica che in famiglia lavora, mentre del padre non si ha più nessuna notizia da tempo, anche se i bambini non perdono occasione di raccontare una storia, con un lieto fine sperato, in cui il padre torna e li abbraccia dicendo che non se ne andrà mai più Ogni giorno, quando varcano il cancello del centro mi trovano nel cortile della scuola, a distanza i cinque fratelli cominciano a correre, una sorta di gara che puntualmente si conclude con un volo tra le mie braccia e un bacio per il vincitore. Santiago, come solo un buon fratello maggiore sa fare, rallenta verso la fine per permettere al fratellino di sei anni di vincere i suoi giornalieri 100 metri. Non c’è giornata che passiamo insieme che non termini con un loro bacio e con quell’ hasta mañana, certezza che l’indomani, vedendomi da lontano, cominceranno a correre e io mi preparerò per accoglierli in questo volo di felicità, loro e mio. Da qualche settimana Santiago non viene più al Nadino, perché adesso deve lavorare; la mamma da sola non riesce a mantenere la famiglia e ha bisogno del suo aiuto. Santiago da qualche settimana non partecipa più a quel volo spensierato, non corre più, non gioca più con noi, Santiago adesso è grande, Santiago adesso ha solo 12 anni».