Un fantasma si aggira per l’Europa: quello del gran Dilettante Yanis Varoufakis, il ministro dell’Economia greco che ha finito per simboleggiare l’ “euromachia” della Grecia, l'ambiguo Golia insolvente dell’Eurozona alle prese col gigante creditore dell’Unione. L’uomo che ha dato l’epiteto di terroristi ai creditori del Fondo Monetario. Le ultime immagini lo ritraggono sorridente mentre vota nel seggio di Fallito, sulla costa ateniese. Servirà a qualcosa questo referendum? In caso di vittoria del sì, la Grecia dovrebbe accettare l’accordo sul piano di lacrime sudore e sangue imposto dall’Unione. In caso di no, come vorrebbe Varoufakis, almeno a parole, si dovrebbe ritornare a trattare. In un contesto in cui le banche non hanno più liquidità e il Paese è “de facto” insolvente nei confronti del Fondo Monetario.
In realtà entrambe le opzioni conservano un margine di imprevedibilità. Perché, come ha detto il governatore della Bce Draghi, stiamo viaggiando in territori inesplorati, nell’ambito dell’imponderabilità. Un’imprevedibilità e un’imponderabilità riassunta nella maschera greca di Yanis Varoufakis. Sulla sua immagine “glamour” di politico fuori dalle righe si sono già scritti fiumi d’inchiostro: l’arrivo ai vertici governativi in motocicletta, l’abbigliamento da “apericena” anche nelle sedi ovattatee formali di Bruxelles, i suoi bivacchi accovacciato sul pavimento del Parlamento di Atene mentre si vota, la sua casa con terrazza con vista sul Partenone, la bella villa ad Egina, il suo secondo “grosso grasso matrimonio greco” con la moglie artista, bella e chic. Ma il punto è un altro: cosa si cela dietro le accuse dei tecnocrati di dilettantismo? Un eroe capace di scardinare l’intransigenza tedesca di un’Unione che rischia di disintegrarsi e di sprofondare sull’altare dei crediti esigibili o il simbolo di una classe dirigente nazionale inetta e non all’altezza del proprio compito, capace di ballare il sirtaki sull'orlo del baratro? Non siamo ancora riusciti a capirlo.
Figlio di un operaio metallurgico, Yanis Varoufakis è certamente un economista quotato, con cattedre a Essex, Cambridge e Sydney, amico di Galbraith junior, stimato da Krugman e Stiglitz. Da un punto di vista della sua visione economica si definisce un “marxista irregolare”, piuttosto eretico mentre i suoi detrattori gli danno del menscevico, ovvero del comunista moderato permeato dalle dottrine liberali. Già collaboratore di Papandreou, nel 2006 si dissociò per divenirne uno dei suoi più feroci critici. Di Marx dice di apprezzare “quella tensione dialettica della realtà contemporanea” con cui “l’opinione dominante non riesce a fare i conti”: crescita e occupazione, debito e surplus, benessere e poverà, spiritualità e depravazione, un “calderone di opposizioni binarie che gli scritti drammatici di Marx ci indicavano come la risorsa dell’ingegno della Storia”. Da allora non ha fatto che criticare “dall’interno” il capitalismo europeo, considerandolo una minaccia non solo per l’Unione, ma per tutta la civiltà. “La crisi europea del 2008”, ha scritto nel suo manifesto programmatico “Confessioni di un marxista irregolare”, “è, per come la vedo, gravida non di potenziali alternative progressiste, ma di forze radicalmente regressive che avrebbero la capacità di causare un bagno di sangue umanitario estinguendo la speranza di qualsiasi azione progressista per generazioni a venire”. Un’Apocalisse europea.
La sua Europa è “un’istituzione fondamentalmente anti-democratica e irrazionale che sta conducendo i popoli europei verso un sentiero di misantropia, conflitto e regressione permanente”. Ma nel suo pamphlet Varoufakis non dichiara guerra all’Unione, tanto meno all’Eurozona. Distruggerla, sostiene, sarebbe solo fare il gioco dei tanti populismi che attraversano l’Europa. La sua costante è certamente un elevato grado di ambiguità e imprevedibilità. Una caratteristica che condivide con il premier Tsipras. La coppia ha letteralmente fatto impazzire i capi di Governo e i ministri dell’Eurogruppo, con la loro tattica aggressiva e difensiva, con gli ostinati stalli alternati ad accelerazioni improvvise, sul filo delle settimane, poi dei giorni e ora dei minuti, con la sorpresa finale del referendum a un metro dall’accordo finale, anche questo un capolavoro di ambiguità. I greci sono divisi in due come una mela, al di là dei sondaggi che in Grecia hanno poca consistenza. Ma è sorprendente l’atteggiamento di chi lo ha promosso. Varoufakis dopo aver invitato a dire no all’accordo, dice che in caso di vittoria di sì il Governo si adeguerà, poi cambia idea e vaticina che potrebbe anche dimettersi. E chissà quante volte cambierà idea fino a lunedì. Qualcuno dice persino che ha un piano segreto che prevede il ritorno alla dracma, come un cavallo di “Troika”. E c’è persino che il suo ruolo è quello di far emergere il cinismo e la spietatezza della Germania, cosa che gli riesce benissimo.
Di certo ha vinto la sua prima (e forse ultima battaglia) contro Fondo Monetario, Unione e Bce facendo emergere le tre istituzioni come un potere comune di banchieri incapaci di una visione politica umanitaria. ”Ogni volta che gli ufficiali giudiziari della troika visitano Atene, a ogni pronunciamento della Bce o della Commissione sull’austerity mi tornano in mente le parole di Brecht: la forza bruta è passata di moda. Perché mandare sicari prezzolati quando gli ufficiali giudiziari possono fare lo stesso lavoro? Il punto è: come resistergli?”. Già, come resistergli? Il Dilettante Yanis Varoufakis non lo ha ancora spiegato. Sperando che non voglia far suo un famoso detto del grande economista John Kenneth Galbraith, padre del collega e amico James Galbraith economista di Varoufakis: “Se tutto il resto fallisce, se nient'altro ci riesce, un insuccesso spettacolare può garantire l’immortalità”.