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martedì 14 gennaio 2025
 
Sinodo
 

Monsignor Satriano: «Il Sinodo? Una sfida necessaria e delicata»

15/10/2021  Parte, il 17 ottobre, la fase diocesana del Sinodo dei vescovi. Con Famiglia cristiana, nelle prossime settimane, seguiremo i lavori delle diocesi e delle parrocchie. Partiamo con le considerazioni dell'arcivescovo di Bari-Bitonto.

«Come vescovi siamo entusiasti di questa fase diocesana del Sinodo e ne sentiamo l’opportunità, anche se questa richiesta del Papa ci coglie, dal punto di vista organizzativo, un po’ come una tegola. Tante diocesi avevano avviato dei sinodi o li stavano per avviare o li avevano appena vissuti. E la stessa Chiesa italiana ha avviato un cammino sinodale…. È una sfida necessaria». Monsignor Giuseppe Satriano, arcivescovo di Bari-Bitonto, ha appena inviato ai suoi sacerdoti una lettera per esortarli a prepararsi al Sinodo, mentre il 17, in contemporanea con la celebrazione in cattedrale, sarà distribuita quella per il popolo di Dio.

Perché una sfida?

«Credo che il Papa abbia individuato che la dinamica del rimettere la Chiesa in un atteggiamento di reale ascolto sia la strada per ridarle la capacità di osservare la realtà e di comprendere i ritardi che ha di fronte a essa. Ritardi non solo ritardi di carattere sociologico, ma sostanziale. C’è un disumano ragionevole così subdolo, così sottile, così insinuante che ha caratterizzato anche alcuni atteggiamenti della nostra vita di Chiesa. Di questo dovremmo prendere atto»

Quali atteggiamenti?

«Pensiamo a come il discorso dei poveri posto al centro dal Papa come lente evangelica con cui leggere la vita della Chiesa sia stata ostracizzata anche all’interno della Chiesa. Il Papa è stato tacciato di pauperismo quando, invece, non fa altro che rimettere al centro una discriminante che è prettamente evangelica: Gesù nasce come reietto, come emarginato, come abbandonato, in una stalla tra gli animali ed è il segno di una umanità che va rimessa al centro. La storia va letta a partire dai poveri, non a partire dai potenti e dai successi. La Chiesa questo un po’ lo aveva dimenticato. Anche se il magistero dei Papi è stato sempre molto attento ai poveri, di fatto la vita ecclesiale, lentamente, si era assestata anche su logiche del disumano ragionevole».

Ci spiega meglio?

«Non rivelo niente di nuovo nel dire che gli ultimi anni abbiamo sentito uomini politici e di cultura inoculare, in nome di una ragionevolezza del vivere, atteggiamenti disumani. Quello slogan molto frequentato che dice “prima io e poi gli altri”, per esempio, è un disumano ragionevole. L’aver osservato alcune situazioni della vita dell’uomo soltanto in maniera settoriale e preconcetta, pregiudiziale, con un atteggiamento non attento al tutto, ha fatto sì che, di fronte alle questioni anche forti della vita, l’uomo si ponga più in un atteggiamento di ciò che mi piace, di ciò che mi conviene e non di ciò che è giusto, di ciò che ha valore. Quindi lentamente il disumano si annida come una scelta possibile, ragionevole, per poter ottenere ciò che mi necessita per vivere, anche se questo costa il far fuori, lo scartare, l’eliminare la vita di qualcun altro».

E questo anche all’interno della Chiesa?

«Purtroppo è un atteggiamento che abbiamo acquisito lentamente che si è sedimentato giorno dopo giorno, momento dopo momento anche nella vita della Chiesa. Quando Giovanni Paolo II, alla vigilia della sua morte, parlava del materialismo pratico come minaccia per la vita della Chiesa e della società umana io credo che facesse riferimento a questo discorso. Il materialismo pratico è il disumano ragionevole».

Come tornare indietro?

«Occorre avviare, come farà il Sinodo, questa dinamica dell’ascolto, che è però qualcosa che no si può improvvisare. A Bari useremo i mesi fino a gennaio, febbraio per preparare i coordinatori, anche con strumenti di dinamiche di gruppo. Abbiamo bisogno di persone formate sacerdoti e laici. Molto dell’esercizio alla preparazione e all’ascolto sarà affidato alle singole parrocchie che, all’interno , dovranno valorizzare gli spazi, che già la Chiesa prevede, degli organismi di partecipazione. Ma stiamo pensando anche a degli spazi di ascolto che non siano prettamente intraecclesiali. Con i giovani abbiamo già iniziato un percorso di ascolto della movida. Sono stati due frati un sacerdote e cinque laici che sono andati per una settimana intera dalle otto di sera all’una di notte a stare, senza proporre niente senza portare nulla ma a stare ad ascoltare, a creare una relazione con questo ambiente  per coglierlo dal di dentro e non giudicarlo dall’esterno. Altre iniziative di questo tipo verranno messe a fuoco e programmate. Certamente è un momento delicato».

Perché?

«Vivere un sinodo significa accogliere il dissenso, che oggi ha varie matrici, in un discernimento che è chiamato alla composizione come è avvenuto per il primo concilio della storia della chiesa, quello di Gerusalemme: Le contrapposizioni erano anche forti, ma il discernimento, aiutato dallo Spirito, ha portato alla composizione di qualcosa. Ci auguriamo che possa essere anche questo uno spazio fecondo, di crescita. Sono certo che questo sarà un processo generativo, anche per le società. Cosa genererà non lo so, ma sarà importante che l’ascolto dell’altro metta in discussione la nostra vita, soprattutto l’ascolto dell’Altro con la a maiuscola che può avvenire attraverso le persone che il Signore ci pone accanto e che condividono con noi un cammino».

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