Rio de Janeiro
“È un lavoro lungo, che abbiamo cominciato da molti anni e che con la visita del Papa avrà una maggiore visibilità”.
Padre Luiz Antonio Pereira, coordinatore della pastorale delle favelas, è convinto che l’impegno della Chiesa nelle zone più difficili della città non verrà meno dopo la Gmg: la visita di Francesco alla Varginha ha acceso i riflettori sui “ghetti” che circondano Rio de Janeiro. Indietro sarà difficile tornare.
“La pastorale delle favelas”, ricorda, “è stata istituzionalizzata nel 1977, ma già negli anni Cinquanta dom Helder Camara, all’epoca vescovo ausiliare di Rio, aveva denunciato lo scandalo di queste abitazioni popolari dove non ci sono i più elementari diritti”. Da allora molta strada è stata fatta, “soprattutto investendo sulle persone. Sono loro che devono prendere coscienza di quali sono i loro diritti e di reclamarli. Spesso abbiamo una politica che non contempla i poveri. Oggi, anche grazie alla presenza del Papa, la politica è obbligata a occuparsi di loro”.
Padre Luiz insiste sul protagonismo delle persone “che non erano abituate a pensare che la casa, la salute, l’istruzione sono diritti che devono avere anche loro. L’unico linguaggio che si conosceva, prima del processo di pacificazione, era quello della violenza. Il processo è complesso, la gente che spesso ha visto la violenza della polizia, stenta a fidarsi della Upp (Unidade da Polícia Pacificadora), il nuovo corpo creato per risolvere i problemi della favelas in vista degli appuntamenti dei Mondiali (2014) e delle Olimpiadi (2016), il lavoro scarseggia, i servizi primari non sono garantiti.
Eppure le cose cominciano a migliorare e molto si aggrega attorno alle parrocchie e alle cappelle che sono ormai presenti in tutte le favelas di Rio. L’obiettivo è quello di lavorare sulla partecipazione, sull’autostima, di ridare dignità a chi è considerato – e si considera – invisibile per la società. La visita del Papa sarà sicuramente un’occasione per uscire, ancora di più, dall’isolamento”.