L’introduzione della fecondazione eterologa pone nuovi e giganteschi problemi, culturali, organizzativi, giuridici e sanitari, che suggerirebbero grande prudenza. Basterebbe pensare al drammatico protrarsi del conflitto tra genitori biologici e genitori genetici innescato dall’errore del Pertini di Roma (per giunta si era ancora in epoca di fecondazione omologa, cioè con seme e ovuli della coppia!), che proprio in queste settimane vede due coppie di genitori contendersi due gemelli in tribunale. Con argomentazioni ragionevoli, ma leggendo le cronache viene da dire: «Come si fa a contendersi un figlio in tribunale?» E i giudici, oggi, sapranno ricorrere alla sapienza di Re Salomone, di fronte ad un dilemma analogo? Perché il re saggio, giova ricordarlo, premiò la madre che seppe "rinunciare al proprio diritto”, pur di non far uccidere il figlio; Al primo posto, quindi, il bene della vita generata, e non il proprio diritto di diventare genitore.
Dovrebbe quindi apparire ovvia e doverosa – come ha peraltro fatto il Ministro Lorenzin - l’esigenza di costruire chiari strumenti regolativi, davanti ad un scenario che è oggettivamente nuovo e diverso dal precedente. Difficile non sospettare di chi sostiene che si può partire subito, senza regole, e che ogni pratica e tecnologia è oggi legittimata dalla sentenza della Corte Costituzionale. Forse c’è fretta di guadagnare sulla pelle della sofferenza di tante coppie, senza stare a guardare tanto per il sottile? Non si può non considerare il parallelo con l’adozione, dove le coppie che si rendono disponibili ad accogliere un bambino vengono monitorate, pesate e valutate per anni, con servizi sociali, psicologi, giudici e avvocati che fanno a volte vere e proprie “radiografie dell’anima”. Cautela per molti versi giusta: ma perché allora non curarsi e preoccuparsi in modo analogo delle nuove sfide di queste genitorialità artificiali? Si crede forse che non faccia la differenza, dover fare i conti con genitori biologici e genitori donatori?
I temi da controllare sono molti, e le regole sono difficili: ad esempio è assolutamente necessario gestire il difficile bilanciamento tra anonimato dei donatori e necessità di conoscere le proprie origini, almeno genetiche. Oppure la necessità di porre un limite alle donazioni di seme maschile (oggi si discute di massimo dieci fecondazioni per ogni donatore) , per non rischiare matrimoni tra consanguinei, sempre possibili, quando si ignora il patrimonio genetico da cui si viene generati. O, ancora, il costo complessivo di queste prestazioni sanitarie, che pare saranno totalmente gratuite (mentre le adozioni esigono un pesante contributo economico da parte delle famiglie). Che dovrebbero dire, allora, tutti quei malati privati della gratuità di farmaci o cure essenziali?
Altro nodo è la gestione delle donazioni di materiale biologico (seme maschile, ovuli, disponibilità alla gestazione “surrogata”), dove per il nostro Paese si ipotizza un qualche “rimborso”. Però già già oggi queste “donazioni” sono ampiamente gestite, in troppe parti del mondo, come un grande mercato di profitto neo-colonialista: ci sono persino tariffe differenziate, dove l’affitto degli uteri di donne bianche vale più di quello di donne di colore o che vivono in Paesi in via di sviluppo. Anche grandi figure della politica francese, come Jacques Delors e Manuel Jospin, cattolici e laici insieme, hanno indirizzato al Presidente Hollande, proprio sulle madri in affitto, un appello di grande allarme, perché «il contratto di maternità surrogata è in effetti contrario al principio di rispetto della persona», sia della donna che del bambino, «ordinato da una o due persone, che si sviluppa nel grembo della "portatrice" e poi consegnato. Gli esseri umani non sono delle cose… Nessuno crederà che questi contratti possano essere realizzati in modo "etico" poiché tutti sanno che si tratta innanzitutto di una questione di denaro, per gli intermediari, che prosperano oggi sulla sofferenza delle coppie senza bambini, che siano eterosessuali od omosessuali”».
Paternità e maternità sono esperienze piene, integrali, che trovano però la loro pienezza assoluta, il loro più pieno completamento non nella fuorviante pretesa di un “incoercibile diritto”, ma nel riconoscimento che dare la vita è dono, e che è la vita che nasce che deve essere al centro di tutto.