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giovedì 28 settembre 2023
 
L'ANALISI/2
 

Fede e bombe, la blasfema retorica della «santa crociata»

29/03/2022  Per il leader russo Vladimir Puin cristianesimo e armi sono tragicamente connessi al servizio dello Stato e della sua «sicurezza». I fantasmi nazisti e comunisti. Sul numero in edicola l'editoriale di padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica

Giaccone «Loro Piana» blu di cachemire e golf a collo alto crema: così si è presentato il presidente russo Vladimir Putin allo stadio Lužniki di Mosca per fare un bagno di folla e di applausi per il suo breve  discorso. Una dimostrazione di forza (e di debolezza sub contraria specie) che rappresenta un cambio di  retorica rispetto all’immagine algida e distante che Putin ha dato fino ad oggi in questo conflitto. Riuscito?  Non sappiamo.

Era il 18 marzo, l’ottavo anniversario dell’annessione della Crimea, ma  soprattutto la data di nascita di Fëdor Fëdorovic Ušakov, ammiraglio dell’era zarista proclamato santo  dalla Chiesa ortodossa russa nel 2001. Chiaro il significato simbolico: la guerra in corso sarebbe sotto la  protezione di un santo guerriero, il quale, tra l’altro, nel 2005 fu dichiarato patrono dei bombardieri nucleari.  Fede cristiana e bombe nucleari appaiono tragicamente connesse a servizio dello Stato e della  sua «sicurezza». Putin aveva postulato l’idea già nel 2007.

A inizio marzo il patriarca di Mosca Kirill aveva  parlato di questa invasione come di «una lotta che non ha un significato fisico, ma metafisico». Ha  proiettato così l’offesa bellica di  natura politica sullo scenario di una lotta apocalittica, uno scontro finale, tra bene e male. La divinità così è la proiezione ideale del potere costituito. La nazione è il «popolo  eletto», e la fede stessa lo contrappone a chi non gli appartiene, cioè al «nemico» e al dissidente, definito  da Putin «moscerino da sputare». L’appello militare all’apocalisse giustifica sempre il potere  voluto da un dio. Esso è proprio, per esempio, dello jihadismo, ma anche delle forme di suprematismo  neo-crociato viste di recente negli Stati Uniti. Tornano in mente altre adunate ricche di liturgie, da quelle  fasciste e naziste a quelle comuniste.

Per questo il Pontefice ha posto un gesto umile e schiettamente  profetico: consacrare al Cuore immacolato di Maria la Russia e l’Ucraina. Insieme, come sorelle, e non  come nemiche. Per questo al patriarca di Mosca Kirill, con il quale ha dialogato da fratello in videoconferenza, Francesco ha detto che «la Chiesa non deve usare la lingua della politica, ma il  linguaggio di Gesù», che è quello della riconciliazione, della pace e dell’amore. Già, dell’amore. E proprio  Putin nello stadio Lužniki di Mosca ha pronunciato queste parole: «Nessuno ha un amore più grande di  questo: dare la vita per i propri amici». Sono le parole di Gesù nel Vangelo di Giovanni (15, 13), qui usate  per giustificare l’invasione e l’odio.

La concezione tribale della religione e dell’amicizia è però l’opposto del  Vangelo, che invece si fonda sull’«amate i vostri nemici» (Mt 5, 43). La retorica religiosa del potere e  della violenza è blasfema. La tragedia ucraina è dunque anche una tragedia cristiana. E proprio per questo  è necessario tenere ben aperta la porta del dialogo ecumenico: per incidere sul futuro politico di  una riconciliazione tra due popoli, molto lontana quanto necessaria.

 

 

 

 
 
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