Il Papa emerito ha il grande merito di riportarci all’essenziale della fede e Papa Francesco quello di incarnarne il messaggio. Quello di Benedetto XVI, nell’ultima intervista rilasciata (per iscritto e anche questo è importante) all’Herder Korrespondenz non è, né può essere un invito ad “uscire dal mondo” (Entweltlichung), né la legge dell’incarnazione può imprimere al nostro modo di essere credenti uno spiritualismo disincarnato. Martin Heidegger, il filosofo che Ratzinger cita, è anche il pensatore dell’essere nel mondo (in der Welt sein) e questo orizzonte “mondano” ci conduce alla possibilità di vivere l’esperienza autentica, non isolata o monastico-eremitica, rispetto al contesto, ma davvero incarnata e testimoniale. Il guaio consiste nel fatto che noi cristiani (né come singoli, né come comunità) non siamo riusciti a compiere il “salto” della fede che dovrebbe condurci dall’esistenza banale, abitudinaria e scontata a quella autentica, profonda e testimoniata. E in questa distanza di verifica la discrasia fra il credere e il vivere, la fede e la cultura.
E l’“esistenza banale” si identifica con il “pensiero calcolante” e l’esistenza funzionale. Non si tratta di “funzionare”, ma di “essere”. Ed è qui la denuncia, che non credo coinvolga soltanto la chiesa tedesca, ma con la quale non possiamo non confrontarci: «finché nei testi ufficiali della Chiesa parleranno le funzioni, ma non il cuore e lo Spirito, il mondo continuerà ad allontanarsi dalla fede». Così scrive Papa Ratzinger!
“Nulla di nuovo sotto il sole” (Qo, 1,9), perché egli aveva già dichiarato la radicale differenza tra fede e dottrina nell’omelia che da cardinale tenne in occasione delle esequie di don Luigi Giussani (duomo di Milano 24 febbraio 2005). E parlava a braccio, mentre diceva che «[Don Luigi Giussani] ha capito che il Cristianesimo non è un sistema intellettuale, un pacchetto di dogmi, un moralismo, ma che il Cristianesimo è un incontro; una storia d’amore; è un avvenimento». Ed eccoci al cuore del tema: il Cristianesimo è un evento! Ed è un evento metastorico che accade nella storia. Per il suo essere “fuori” chiama le persone di ogni tempo e di ogni regione al confronto e alla scelta, per il suo essere “storico” si incarna e si esprime in ogni situazione esistenziale ed autenticamente umana, senza rivendicazioni, né proclami dottrinali. La dottrina è funzionale, il pensiero gratuito nella misura in cui è veramente libero!
Esattamente a questo ci richiama Papa Francesco, che ci mette continuamente in guardia dai riduzionismi (dottrinale, etico ed estetico) della fede. Quando eravamo piccoli venivano invitati ad “andare a dottrina”, ovvero a frequentare le lezioni di catechismo, che in fondo riproducevano una mentalità ed una fede incentrata sull’Essere (perfettissimo Signore del cielo e della terra). Dopo aver imparato la dottrina venivamo premiati perché sapevamo ripetere a memoria le risposte del Catechismo e i più fortunati venivano coinvolti in un viaggio a Roma con relativa udienza del Papa. Ne andavamo orgogliosi, ma ora? Perché la fede non è una dottrina, come ci ripetono i due Papi? Perché è vita, ma al tempo stesso il credere non può disgiungersi dagli aspetti speculativi e razionali, altrimenti si ridurrebbe ad un impulso cieco sentimentale e privo di consistenza.
Ecco perché dobbiamo essere grati ai due Papi e alle loro espressioni diverse, ma convergenti, della stessa fede, che non può che trasmettersi se non nella testimonianza, cui Benedetto richiama la chiesa tedesca e Francesco quella universale.