Nataliya Fedorovych
«Già in epoca sovietica i russi non riuscirono a dominare e sottomettere gli ucraini. E allora li hanno uccisi, negli anni ’30, attraverso la fame». Oggi, mentre in Ucraina orientale soffiano sempre più minacciosi i venti di guerra con la Russia, tornano alla mente i momenti storici che hanno segnato, in modo violento e drammatico, una frattura fra Ucraina e Russia che affonda le sue radici nel passato. Nataliya Fedorovych, 50 anni, ex viceministra per le Politiche sociali dal 2014 al 2019, oggi a capo della segreteria del Commissario per i diritti umani del Parlamento ucraino, ricorda l’Holodomor, “lo sterminio per fame”, la grande carestia che si abbatté sul territorio ucraino fra il 1932 e il 1933, causata dalle politiche di Stalin, e che provocò milioni di vittime ucraine. «L’Holodomor ritorna sempre nella memoria della gente ogni anno, a fine novembre: l’ultimo sabato del mese è il giorno del ricordo del genocidio per carestia e di tutte le vittime delle repressioni. In quel giorno, alle quattro del pomeriggio, la gente accende una candela alla finestra per ricordare». Una grande candela oggi è eretta a segnalare l’ingresso del Museo dell’Holodomor a Kiev, un luogo di commemorazione che insegna a combattere l’odio e le violazioni dei diritti umani, dovunque, nel mondo.
«Negli anni passati sono state avviate ricerche e ricostruzioni sul genocidio. Un motivo per riaprire quel capitolo della storia è stata anche la guerra del Donbass nel 2014: il dolore vissuto in quel conflitto in Ucraina orientale ha riaperto le terribili ferite del passato. La Russia non vuole riconoscere lo sterminio per carestia come genocidio. Per il nostro popolo è molto importante che gli altri Paesi lo riconoscano: una decisione importante non solo per l’Ucraina, ma per ogni Stato che coltiva il rispetto per la vita umana».
Ferite aperte, mai rimarginate. Questioni post-sovietiche irrisolte, che oggi continuano ad alimentare un conflitto con la Russia difficile da sanare. La guerra del 2014 nelle regioni di Donetsk e Luhansk, a maggioranza russofona, ha avuto come esito gli accordi di Minsk, che prevedevano il cessate il fuoco immediato, lo scambio dei prigionieri e l’impegno da parte dell’Ucraina a concedere maggiori poteri alle regioni che si erano autoproclamate repubbliche popolari autonome. Il protocollo di fatto non stato mai rispettato. E oggi da più parti quegli accordi vengono invocati come possibile strada per la risoluzione del conflitto. Ma Fedorovych non è affatto d’accordo: «Il problema alla base degli accordi non è la questione dell’autonomia dei territori occupati, ma il fatto che la loro applicazione porterebbe a un’amnistia dei militari occupanti filorussi, che diventerebbero parte delle forze di polizia del Paese. E come potremmo accettare che parte di coloro che ammazzavano la gente diventino la polizia del nostro popolo? O addirittura dei parlamentari? Attuare gli accordi di Minsk significherebbe mettere una croce sullo Stato dell’Ucraina. Significherebbe anche ammettere che l’Ucraina non può camminare verso l’integrazione europea. La risoluzione del conflitto con la Russia non sta nel protocollo di Minsk. Bisogna cercare un’altra strada».
A proposito della posizione della comunità internazionale nei confronti della crisi ucraina, l’ex viceministra ammette il senso di frustrazione e la delusione: «Noi ucraini nel 1994 abbiamo accettato di rinunciare alle armi nucleari con il Memorandum di Budapest sulle garanzie di sicurezza, ottenendo in cambio garanzie di integrità e indipendenza territoriale. Ma la Russia le ha stracciate. E non è giusto che gli alri Paesi dichiarino di non volersi intromettere per non far scoppiare la terza guerra mondiale». E conclude: «L’Ucraina oggi è un giocattolo nelle mani delle grandi potenze».
(Foto Reuters sopra: bambini in visita al Museo dell'Holodomor a Kiev)